Introduzione
Negli ultimi mesi si sta assistendo ad una presa di consapevolezza, sempre più marcata, per quelle che sono le tematiche ambientali. Dal riciclaggio dei rifiuti, alla discussione sugli allevamenti, osserviamo come si comincino a mettere le basi per un cambiamento radicale della nostra società.
Ma in tutto questo, la microbiologia in cosa ci aiuta? Bene, è importante sapere che anche su questo fronte sono in atto dei cambiamenti. Consapevoli, infatti, del fatto che i combustibili fossili sono tra le prime cause del surriscaldamento globale si sta cercando di creare i cosiddetti biocarburanti. L’alcol, in questo, ci viene in soccorso: il bioetanolo, prodotto da organismi quali Saccharomyces cerevisiae (il comune lievito di birra), è un carburante avente l’energia necessaria a permettere il movimento dei mezzi di trasporto.
La produzione di bioetanolo è inoltre relativamente semplice, attraverso un processo fermentativo che utilizza biomassa vegetale contenente zuccheri, il lievito produce biocarburante.
I problemi del bioetanolo
Fin qui tutto bene: abbiamo un nuovo carburante semplice da produrre e che inquini di meno. Perché allora non viene ancora utilizzato a livello internazionale? A questo punto le problematiche su cui scontrarsi sono diverse. Innanzitutto, come si può intuire, l’etanolo non dispone della stessa energia della benzina (il contenuto energetico di 1L di etanolo corrisponde a 2/3 di 1L di benzina), ciò significa che volendo utilizzare questo biocarburante la sua produzione dovrebbe essere enorme.
Dopodiché subentrano altre problematiche come la biomassa da utilizzare per la sua produzione: utilizzando infatti prodotti agricoli come il mais si andrebbe ad incrementare il costo di quest’ultimo, creando così, sia un problema economico che etico.
L’impiego dell’ingengeria genetica
Oggi, in parte, possiamo affrontare questi ostacoli grazie alle biotecnologie. È infatti possibile modificare geneticamente il lievito di interesse per ottenere una produzione ottimizzata di bioetanolo oppure per utilizzare biomasse diverse da quelle del mais prima citato.
Se si vuole per esempio utilizzare la cellulosa come biomassa sarà possibile introdurre all’interno del lievito uno specifico gene codificante un enzima, la cellulasi, per permettere la degradazione della cellulosa in zuccheri semplici che sono accessibili al metabolismo del lievito. Le stesse piante da cui viene estratta la cellulosa possono poi essere modificate per limitare la presenza di lignina, polimero che in alcun modo può essere utilizzata nella fermentazione.
Abbiamo quindi visto che in questa corsa contro il tempo per combattere i cambiamenti ambientali anche la microbiologia ci viene in nostro aiuto. Sta adesso a noi scegliere con quale tempestività agire.