Quando parliamo di reti alimentari il primo step è quello dei produttori primari, solitamente visualizzati come piante più o meno grandi, mentre i microrganismi sono relegati al ruolo di decompositori. Questo è parzialmente vero per l’ambiente terrestre, ma totalmente errato in ambiente marino, dove ritroviamo il microbial loop.
Un po’ di storia
I batteri marini sono stati considerati unicamente come decompositori della materia organica, ipotizzando una rete trofica simile a quella terrestre, dove la produzione primaria avveniva totalmente a carico delle alghe. Una visione consolidata dalla scarsa conoscenza del bioma microbico pelagico, poco conosciuto fino agli anni 70/80; si pensava che le aree di mare aperto, lontane dalla costa, fossero ambienti troppo poveri di nutrienti, assimilabili a “deserti marini”.
Nel 1974, Lawrence Pomeroy ipotizzò che le reti trofiche marine fossero diametralmente diverse da quelle terrestri, basate su organismi fotoautotrofi microscopici piuttosto che su grandi organismi vegetali. Ma l’abbondanza microbica nota per le aree pelagiche era pesantemente sottostimata, e poco congrua con tale ipotesi.
Ma, nel 1977, John Hobbie pubblicò un lavoro destinato a cambiare la nostra visione degli ambienti pelagici. Egli ideò un metodo per la visualizzazione dei microrganismi marini, tramite filtri a nucleopori e microscopia ad epifluorescenza. Questo rivoluzionò la nostra visione della microbiologia marina e su quanto le tecniche colturali classiche fossero inadeguate per stimare la diversità di comunità microbiche che tutt’oggi non riusciamo a coltivare ed ha condotto al concetto di microbial loop.

Differenza tra ambiente marino e terrestre
In ambiente marino la maggior parte della produzione primaria avviene ad opera del nanoplancton, supportato dal fitoplancton. Se confrontiamo i livelli di produzione primaria tra ambiente marino e terrestre, i valori sono abbastanza simili; ma guardando biomassa e tempo di turnover abbiamo che tali valori sono molto più bassi in mare piuttosto che sulla terraferma. Questo con quasi il quintuplo di biomassa terrestre a pari produzione con la biomassa marina.
Infatti, mentre la produzione primaria sulla terraferma è dominata dalle grandi foreste, in mare sono i primi metri superficiali ad avere la quasi totalità di produzione, ad opera di fitoplancton e cianobatteri (molto importanti i generi Prochlorococcus e Synechococcus).
Come mai avviene questa differenza strutturale? Le dimensioni maggiori sono uno svantaggio negli ambienti pelagici: la scarsità di nutrienti, lontano dalla costa, ha avvantaggiato gli organismi più piccoli, forti di un elevato rapporto superficie/volume. Grazie ad esso, essi hanno una maggiore capacità di assimilare nutrienti dall’ambiente.

Il microbial loop: cos’è?
Il microbial loop è un insieme di link che connettono il pool della sostanza organica disciolta (DOM) ai livelli trofici superiori attraverso l’attività batterica, parallelamente alla rete trofica marina “classica”: fitoplancton -> zooplancton -> consumatori secondari e di ordine superiore.
Le caratteristiche dell’ambiente pelagico sono diverse dagli ambienti costieri: sono zone oligotrofiche, povere di nutrienti, con acque superficiali ben stratificate che impediscono il rimescolamento con le masse d’acqua profonde. In questi ambienti le principali forme di vita sono i microganismi ed i loro predatori, come protisti e virus batteriofagi.
Possiamo distinguere la materia organica presente in oceano in due categorie principali: quella particolata (POM) e la già citata disciolta (DOM). Cianobatteri, batteri pelagici ed archea mesopelagici sono in grado di sfruttare efficientemente la materia organica disciolta, assimilandola e talvolta aggregandosi formando la neve marina (facente parte della POM). Tra i microrganismi pelagici ritroviamo sia autotrofi che fotoeterotrofi: questi ultimi sono in grado di organicare la DOM grazie alla batteriorodopsina senza produzione di ossigeno.
Il batterioplancton autotrofo ed eterotrofo viene pascolato dai nanoflagellati, predati dai ciliati e dai dinoflagellati; tutto questo permette il reingresso della sostanza organica e dell’energia che erano state liberate in ambiente all’interno delle reti trofiche marine. Ogni volta che si ha un trasferimento di energia da un livello trofico al successivo si ha una certa perdita di energia, dovuta ai processi interni degli organismi. Questo trasferimento misurato tramite l’efficienza ecologica. In ambiente pelagico si hanno un gran numero di passaggi per arrivare ai consumatori apicali, rispetto alle aree costiere e di upwelling, dominate dalle diatomee; questo porta minore energia ai consumatori apicali, come i pesci, abbondanti nelle aree di upwelling.

In ambienti dove gran parte della rete trofica è legata direttamente al microbial loop, le comunità microbiche pelagiche rimangono tendenzialmente in uno steady state, nonostante possano avvenire variazioni dovute alle stagioni; queste condizioni sono opposte alle aree di upwelling costiero, dove possono avvenire bloom di singole o poche specie che diventano dominanti in pochissimo tempo.

Un fenomeno interconnesso
Il microbial loop non è un fenomeno isolato, bensì profondamente interconnesso con altri processi; ad esempio, i batteriofagi, tramite il viral shunt, sono una delle forze che agiscono sul microbial loop. La lisi dei batteri ad opera dei virus marini permette alla materia organica di ritornare in ambiente sotto forma di DOM; le sostanze rilasciate possono venire impiegate da altri microrganismi per aumentare la propria biomassa, accelerando così i cicli di sintesi e respirazione, mentre una parte della DOM rilasciata è per sua natura poco adatta ad essere riciclata nei primi metri della colonna d’acqua. Questa DOM recalcitrante o refrattaria andrà quindi a inabissarsi, eventualmente aggregandosi in POM come neve marina.
L’inabissamento della materia organica, in particolare del C, dovuto a processi biologici, è il fulcro della pompa biologica del carbonio. Essa è l’insieme dei fenomeni che permettono il sequestro netto di CO2 dall’atmosfera, trasferendo carbonio organicato nei sedimenti profondi; nella discesa, una parte della materia organica verrà rimineralizzata, una parte passerà da POM a DOM e un’altra ancora entrerà a far parte dei carbonati. Nonostante le migrazioni verticali degli organismi e l’inabissamento della materia organica, solo una “piccola” parte raggiungerà il fondo, ma pur sempre una quantità tale da considerare il mare come un sink di carbonio.

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Fonti:
- Munn, C. B. – Marine Microbiology: Ecology and Applications, 3° Edizione – CRC Press
- Pomeroy L. R., 1974 – The Ocean’s Food Web, A Changing Paradigm
- Hobbie J. E., Daley R. J., Jasper S., 1977 – Use of Nucleopore Filters for Counting Bacteria by Fluorescence Microscopy