Il viaggio di oggi inizia sull’isola di Vulcano, in Sicilia. Nel 1986, nei pressi di una sorgente geotermica venne isolato un batterio ipertermofilo, denominato poi Pyrococcus furiosus.
I batteri termofili (letteralmente amanti del calore) sono microorganismi che vivono a temperature superiori ai 60°C. Gli ipertermofili sono un particolare caso di termofili estremi che crescono preferibilmente a temperature superiori ai 90° gradi. In sostanza, è come se ci immaginassimo di vivere alla temperatura di una pentola con dell’acqua che bolle.
Le caratteristiche dei batteri ipertermofili
I batteri ipertermofili sono in grado di vivere in condizioni estreme per temperatura, là dove agli altri microorganismi è proibito. Infatti, le temperature alte tendono a degradare i componenti cellulari, compromettendo il funzionamento e la sopravvivenza delle normali cellule. Basti pensare a quando ci scottiamo una mano, toccando un fornello caldo. Il calore sottopone le cellule dell’epidermide ad uno stress che ne causa la morte. Infatti, poi notiamo segni di danno cellulare come bolle, arrossamento, cicatrici, screpolature. I batteri ipertermofili invece, non solo non vengono uccisi dall’alta temperatura, ma addirittura trovano una condizione ideale per la loro proliferazione!
Come riescono a sopravvivere, quindi, i termofili e gli ipertermofili in questi ambienti? Grazie all’evoluzione di un diverso metabolismo e a modifiche strutturali e chimiche di elementi fondamentali come enzimi e DNA. I loro enzimi, infatti, sono così ben adattati agli ambienti molto caldi, da risultare troppo rigidi a temperatura ambiente e dunque inadatti a svolgere le loro funzioni. Oltre a ciò, il DNA degli ipertermofili, grazie a modifiche biochimiche, è in grado di mantenere la classica struttura a doppia elica, che normalmente viene distrutta da temperature elevate.
Pyrococcus furiosus: un esempio tra i batteri ipertermofili
Pyrococcus furiosus significa letteralmente “furiosa palla infuocata”. Si tratta di un batterio ipertermofilo cocciforme, cioè con una forma tondeggiante (da qui il nome palla), che possiede una serie di flagelli ad una estremità. Questi flagelli, che non sono altro che delle piccole code, permettono al batterio di muoversi. Nel caso specifico, P. furiosus è dotato di un’alta motilità, da cui deriva appunto il nome furioso.
Inoltre, il termine furioso è stato attribuito anche per la velocità di replicazione di questo microorganismo: solo 36 minuti! Un batterio medio impiega tra i 60 e i 120 minuti per dividersi.
P. furiosus possiede altre caratteristiche peculiari, come degli enzimi che contengono tungsteno, elemento molto raro nelle molecole biologiche. Oltre a ciò, P. furiosus mostra altre caratteristiche particolari, più tecniche, come certe reazioni metaboliche, che non erano note in precedenza. Ad esempio, la sua capacità di utilizzare il solfuro ferroso come fonte di ferro.
Applicazioni industriali
L’applicazione industriale dei batteri termofili è molto importante. Infatti, consente di utilizzare enzimi termostabili, che non si degradano e rimangono, dunque, attivi, in quei processi che richiedono alte temperature. L’esempio più noto è quello della Taq polimerasi, isolata da un termofilo, Thermus acquaticus, nel parco di Yellowstone. La Taq polimerasi è utilizzata in tutti i laboratori di biologia molecolare durante l’amplificazione dei frammenti di DNA o di RNA (tecnica nota come PCR). Anche i batteri ipertermofili, come P. furiosus possono essere una fonte di enzimi termostabili. Nello specifico da P. furiosus è stata isolata una polimerasi denominata Pfu polimerasi che possiede un tasso di errore più basso della Taq polimerasi. In sostanza, quando l’enzima replica la catena di DNA o di RNA commette meno errori nelle copie che genera.
Altri studi di possibili applicazioni di P. furiosus prevedono metodi diagnostici per acidi nucleici e applicazioni di CRISPR-Cas (metodo di ingegneria genetica).
I batteri ipertermofili, grazie alla conquista di luoghi inospitali, mostrano una serie di caratteristiche metaboliche inusuali e, prima della loro scoperta, sconosciute. Questi elementi contribuiscono sicuramente a renderli affascinanti e in parte ancora non completamente compresi.
Fonti
- Kengen SWM, Pyrococcus furiosus, 30 years on, Microb Biotechnol. 2017 Nov;10(6):1441-1444.
- Sonya M. Clarkson, et al., The hyperthermophilic archaeon Pyrococcus furiosus utilizes environmental iron sulfide cluster complexes as an iron source. Extremophiles 25, 249–256 (2021).
- I batteri ipertermofili. Stefani-Taddei Percorsi di biochimica © Zanichelli 2011.
- Grogan DW. Hyperthermophiles and the problem of DNA instability. Mol Microbiol. 1998 Jun;28(6):1043-9.
- Van Wolferen M. et al., How hyperthermophiles adapt to change their lives: DNA exchange in extreme conditions. Extremophiles. 2013 Jul;17(4):545-63.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Taq_polimerasi
- https://it.wikipedia.org/wiki/Pyrococcus_furiosus
- Garrett S. et al., Primed CRISPR DNA uptake in Pyrococcus furiosus. Nucleic Acids Res. 2020 Jun 19;48(11):6120-6135.
- He R. et al., Pyrococcus furiosus Argonaute-mediated nucleic acid detection. Chem Commun (Camb). 2019 Oct 31;55(88):13219-13222.
Crediti immagini
- Immagine in evidenza batteri ipertermofili: www.foodhubmagazine.com
- Figura 1: www.google.com
- Figura 2: wikipedia.org
- Figura 3: www.researchgate.net