“The magic bullet” ovvero il proiettile magico di Paul Ehrlich

The magic bullet (“il proiettile magico” nella traduzione italiana) è un concetto sviluppato nei primi anni del secolo scorso dal premio Nobel tedesco Paul Ehrlich, le cui ricerche portarono allo sviluppo del Salvarsan, il primo farmaco efficace per il trattamento della sifilide.

Il sogno di Paul Ehrlich

Paul Ehrlich nacque nel 1854 a Strzelin, nel Regno di Prussia. In quel periodo storico, i chimici stavano rivoluzionando la produzione tessile attraverso lo sviluppo di nuovi coloranti sintetici. Nel frattempo il giovane Ehrlich, intrapresi gli studi presso la facoltà di medicina, iniziò a dedicarsi ad esperimenti sulla colorazione istologica con preparati a base di anilina allo scopo di svelare i segreti della vita microscopica. Già nella tesi di laurea, discussa nel 1878, Ehrlich sostenne l’importanza dell’applicazione delle tecniche di colorazione alla pratica clinica.

Iniziava infatti a prendere forma il sogno di Ehrlich: sviluppare “il proiettile magico”, der Zauberkugel nella lingua originale tedesca, più conosciuto tra la comunità scientifica internazionale con la sua definizione anglosassone the magic bullet. Ehrlich immaginava un chemioterapico con le caratteristiche di un colorante molto selettivo che potesse esercitare la sua azione esclusivamente sul patogeno ospitato all’interno dell’organismo, lasciando indisturbate le cellule del corpo umano.

Una cura per la sifilide

Nel 1905 il biologo Fritz Schaudinn e il dermatologo Erich Hoffmann scoprirono l’agente causale della sifilide: la spirocheta Treponema pallidum (Figura 1). Questa malattia infettiva a trasmissione sessuale, all’epoca endemica e quasi incurabile, veniva trattata con sali di mercurio inorganici. Tuttavia la terapia provocava gravi effetti collaterali e aveva mostrato scarsa efficacia.

Treponema pallidum, microrganismo responsabile della sifilide
Figura 1 – Treponema pallidum, microrganismo responsabile della sifilide [Fonte: CDC Public Health Image Library. CDC/Susan Lindsley]

Contemporaneamente, scienziati francesi, britannici e americani stavano sperimentando l’uso di composti organici a base di arsenico per combattere il parassita Trypanosoma brucei, utilizzandoli con successo nel trattamento della malattia del sonno, ma osservando allo stesso tempo gravi effetti collaterali (atrofia del nervo ottico). 

Sulla base della somiglianza morfologica tra T. brucei e T. pallidum, Fritz Schaudinn ipotizzò che i due agenti patogeni potessero essere suscettibili agli stessi agenti chemioterapici derivati dall’arsenico. Questa osservazione diede nuovo impulso alle ricerche di Ehrlich.

La sintesi del composto 606

Ehrlich scelse un noto composto organico di arsenico come punto di partenza e, con l’aiuto del chimico Alfred Bertheim, sintetizzò centinaia di composti derivati. Seguendo una procedura sistematizzata, ciascuna di queste molecole veniva testata per attività biologica e tossicità in conigli infettati dalle spirochete responsabili della sifilide.

Nel 1907 si giunse alla sintesi del composto 606, ovvero il sesto della seicentesima serie, l’arsfenammina. I due assistenti di Ehrlich che per primi lo testarono conclusero che era inefficace e quindi venne scartato. Ehrlich tuttavia chiese al suo collaboratore, il batteriologo giapponese Sahachiro Hata (Figura 2), di ripetere gli esperimenti. Nel 1909 arrivò la svolta: il composto 606 era in grado di curare rapidamente conigli affetti da sifilide senza produrre gravi effetti collaterali. Hata dimostrò quindi che l’arsfenammina era superiore a tutti gli altri composti testati, suscitando però il disappunto di Ehrlich per il fatto che i metodi inadeguati usati dai suoi ex assistenti avessero ritardato questa scoperta.

Paul Ehrlich e Sahachiro Hata
Figura 2 – Paul Ehrlich e Sahachiro Hata. [Fonte: Wikimedia Commons].

Nello stesso anno, per la prima volta l’arsfenammina fu quindi sperimentata su pazienti. Ehrlich predispose che gli studi clinici, accuratamente registrati, fossero eseguiti da un piccolo gruppo di medici a Uchtspringe, Magdeburgo, Bonn, San Pietroburgo e Pavia, e fornì egli stesso indicazioni sulla dose e sulla selezione dei pazienti. Il primo rapporto pubblicato sull’esito degli studi mise in luce l’efficacia sbalorditiva dell’arsfenammina nella cura dei pazienti affetti da sifilide.

Il dermatologo tedesco Wilhelm Wechselmann dichiarò alla Società Medica di Berlino:

Le domande che ci si doveva spontaneamente porre quando si esaminava un nuovo composto erano: ha un effetto specifico sulla sifilide e, in tal caso, supera quello dei farmaci già noti? Cura la sifilide? Il rischio finale del farmaco è in un equilibrio accettabile con l’entità dei suoi effetti [benefici]?

Per quanto riguarda il primo punto, non ci può più essere alcun dubbio, anche quando si giudica con il massimo scetticismo, che il nuovo farmaco agisce sui sintomi della sifilide in tutte le forme infettive con una velocità e completezza che nessun altro farmaco finora conosciuto può garantire, anche approssimativamente. Lo abbiamo testato in 80 casi e gli effetti si verificano con la certezza di un esperimento […].

Gli effetti curativi sono così rapidi che non si possono mostrare i pazienti perché dopo pochi giorni non si vede più nulla su di loro e lasciano l’ospedale.

Il successo del Salvarsan

Alla fine del 1910, anno in cui il farmaco ricevette il nome commerciale Salvarsan, erano già state somministrate circa 65.000 dosi a oltre 20.000 pazienti, prima ancora della commercializzazione.

Il Salvarsan veniva preparato dagli stabilimenti dell’industria chimica tedesca Hoechst in contenitori di acciaio inossidabile, mediante un complesso processo chimico con una resa di poco inferiore al 16%. Era una fine polvere gialla, solubile in acqua, etere e glicerina, che doveva essere confezionata sotto anidride carbonica in fiale, per prevenire l’ossidazione in una forma tossica. Hoechst produceva dalle 12.000 alle 14.000 fiale al giorno ed Ehrlich fu così in grado di offrirne piccole quantità ai molti medici che ne richiedevano una fornitura.

In seguito Ehrlich continuò a testare ulteriori composti e migliorò il Salvarsan ottenendo il composto 914, Neosalvarsan. Questo era più solubile, aveva un contenuto di arsenico inferiore, quindi risultava meno tossico, e appariva più attivo. Entrò in commercio nel 1913.

Nonostante la fastidiosa procedura di iniezione e gli effetti collaterali (singhiozzo persistente, vomito, paralisi agli arti), il Salvarsan, insieme al Neosalvarsan, rimase per molti anni il cardine del trattamento della sifilide, successivamente in combinazione con il bismuto.

L’avvento della penicillina

Il successo del Salvarsan durò fino agli anni Quaranta, quando la penicillina scoperta da Alexander Fleming divenne ampiamente disponibile dopo la seconda guerra mondiale e fu accettata come trattamento di scelta della sifilide. Tuttavia la scoperta di Ehrlich e l’approccio di studio da lui introdotto segnarono l’inizio di un lungo percorso nella ricerca e identificazione di nuovi farmaci.

Ancora oggi tra gli scienziati continua ad essere vivo il sogno di poter disporre di chemioterapici in grado di curare le malattie in modo così mirato e selettivo da determinare effetti collaterali minimi sull’organismo umano.

Ancora oggi, dopo oltre un secolo dal primo “proiettile magico” di Paul Ehrlich.

Fonti

Crediti immagini

Foto dell'autore

Francesco M. Labricciosa

Sono laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in Igiene e Medicina Preventiva. Dal 2016 partecipo ai progetti di ricerca promossi dalla Global Alliance for Infections in Surgery e come medical writer collaboro con diverse agenzie di comunicazione scientifica del settore healthcare. Per Microbiologia Italia scrivo articoli e conduco interviste nell'ambito delle mie principali aree di interesse: non solo antimicrobial resistance e uso dei farmaci antimicrobici, ma anche storia della microbiologia. linkedin.com/in/francescomarialabricciosa/

Lascia un commento