Secondo l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la popolazione mondiale raggiungerà circa i 10 miliardi di persone entro il 2050. Per far fronte al crescente fabbisogno alimentare è necessario un aumento della produttività agricola, che deve fare i conti con sfide legate ai cambiamenti climatici. L’emergenza clima infatti, modificando i modelli di precipitazioni e temperatura, sta influenzando la produzione agricola. Dinanzi a ciò, l’obbiettivo per l’agricoltura diventa quello di trovare soluzioni che permettano alle colture di affrontare stress abiotici. In questo scenario una delle aree più promettenti e soprattutto sostenibili è l’utilizzo di biostimolanti.
Biostimolanti
L’European Biostimulant Industry Council (EBIC) definisce i biostimolanti come: “sostanze e/o microrganismi che, applicati alla pianta e alla rizosfera, stimolano i processi naturali che migliorano l’efficienza di assorbimento e assimilazione dei nutrienti, la tolleranza a stress abiotici e la qualità del prodotto. I biostimolanti non hanno effetti diretti su patogeni e parassiti, quindi non rientrano nella categoria dei pesticidi“.
Quali sono le principali sostanze biostimolanti?
Utilizzate per anni in agricoltura come ammendanti, tra le più conosciute sostanze biostimolanti rientrano gli estratti di alghe, soprattutto polisaccaridi e derivati. L’azione biostimolante degli estratti algali risiede principalmente nell’attivazione dei processi di crescita, migliorando la velocità di germinazione, allegagione, la produzione e la qualità del prodotto. Studi hanno dimostrato come incrementino l’assorbimento di macro e micronutrienti in molte colture.
Le sostanze umiche, derivanti da estrazione di terreni, concime e ammendanti organici, sono altresì biostimolanti. Si tratta per lo più di acidi umici e fulvici, che agiscono come biostimolanti modificando l’architettura radicale e potenziando la risposta a stress abiotici.
Gli idrolizzati proteici, di natura vegetale o animale, potenzialmente coinvolti nell’aumento della biodisponibilità degli elementi, grazie alla loro azione complessante, migliorano la qualità del prodotto. Inoltre, stimolando la rizogenesi, garantiscono l’assorbimento dei nutrienti in condizioni di risorse limitate.
Sempre più documentata è l’azione biostimolante di microrganismi promotori della crescita, Plant Growth Promoting Microrganism (PGPMs), veri e propri probiotici per le piante. L’azione biostimolante dei PGPMs è stata studiata singolarmente, in consorzi microbici e in complessi con matrici organiche.
Plant Growth Promoting Microrganisms (PGPMs) e meccanismo d’azione
L’idea di utilizzare i biostimolanti microbici nasce alcune decine di anni fa, quando dai primi studi condotti sui batteri del genere Azospirillum, si è evidenziata la produzione di auxine per stimolare l’accrescimento radicale in sorgo, come possibilità di poter colmare le esigenze azotate dei cereali. I biostimolanti microbici si distinguono in Plant Growth Promoting Bacteria (PGPB) e Plant Growth Promoting Rhizobacteria (PGPR), questi ultimi specificamente colonizzatori della rizosfera. I maggiormente studiati appartengono ai generi Burkholderia, Bacillus, Pseudomonas, Serrantia e Streptomyces.
I biostimolanti microbici esercitano funzioni chiave nell’interazione pianta-suolo, essendo coinvolti nei processi di fissazione dell’azoto, ciclo del carbonio e azoto, assorbimento nutrienti e modellamento del suolo. Studi biochimici, molecolari e fisiologici di interazioni pianta-suolo, hanno mostrato l’esistenza di meccanismi di risposta a stress in pianta, indotti dai microrganismi, che potrebbero attivare Tolleranza Sistemica Indotta e Resistenza Sistemica Indotta, rispettivamente in condizioni di stress abiotici e biotici.
I meccanismi di azione attraverso cui i PGPMs influenzano le risposte e i pathway metabolici vegetali possono essere così classificati (Fig.1):
- Modulazione ormonale;
- Bilanciamento dello stato ossidativo delle cellule;
- Miglioramento dell’efficienza d’uso dell’acqua (Water Use efficiency, WUE) e delle risposte fisiologiche di fotosintesi;
- Miglioramento dell’efficienza d’uso di nutrienti (Nutrient Use Efficiency, NUE).
Modulazione ormonale
Esistono diversi fitormoni che gli organismi vegetali producono in risposta a condizioni avverse per cause abiotiche e biotiche. Tra questi l’acido abscissico (ABA) è considerato un fitormone dello stress, in quanto maggiormente coinvolto nella regolazione dei processi fisiologici indotti dall’ambiente. La chiusura stomatica in condizioni di stress idrico, indotta da ABA, è tra i meccanismi fisiologici meglio studiati in pianta. La biosintesi di ABA può essere influenzata dalla presenza di PGPMs nel suolo. In soia l’inoculo con Pseudomonas putida ha dimostrato una ridotta produzione di ABA, mitigando gli effetti indotti da stress idrico sulla produttività della coltura; analogamente, si è dimostrato come, in lattuga, l’inoculo con Glomus intraradices diminuisca la concentrazione di ABA, riducendone la suscettibilità a stress salino.
L’acido indol-3-acetico (IAA), un fitormone del gruppo delle auxine, è coinvolto in diversi processi cellulari come l’allungamento e la divisione cellulare, e lo sviluppo radicale. Sebbene sia stato dimostrato come stress abiotici inducano un aumento di IAA in tessuti vegetali, un maggiore aumento è stato registrato in piante inoculate con PGPMs, con modifiche a livello dell’architettura radicale, consentendo quindi l’assorbimento di nutrienti e acqua anche in condizioni limitate.
La peculiarità per molti PGPMs di poter produrre e secernere composti utili alla pianta non è limitata solo alla biosintesi di IAA. Molti rizobatteri producono l’enzima 1-aminociclopropano-1-carbossilato deaminasi (ACC deaminasi), che catalizza la conversione dell’acido 1-amminociclopropano-1-carbossilico (ACC), precursore dell’etilene, ad alfa-chetobutirrato e ammonio (Fig. 2). L’etilene è un fitormone che funge da potente segnale d’allarme in risposta a stress abiotici e biotici. Alte concentrazioni di etilene riducono la crescita della pianta, soprattutto a livello radicale. Pertanto la presenza di microrganismi produttori di ACC-deaminasi, abbassando la concentrazione di etilene, riducono gli effetti deleteri dovuti al fitormone.
Bilanciamento dello stato ossidativo delle cellule
Condizioni di stress inducono in pianta la produzione di specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto (ROS e RNS), con lo scopo di regolare i diversi processi fisiologici. Essendo ROS e RNS molecole altamente reattive, diverse biomolecole come proteine, lipidi e acidi nucleici sono suscettibili alla forte attività ossidativa che potrebbe causare enormi danni a membrane, RNA, DNA ed enzimi, conducendo a processi di morte cellulare. Molti studi hanno evidenziato come piante inoculate con PGPMs hanno attività scavenging, detossificante, contro ROS e RNS. Inoltre, è stato dimostrato come sostanze anti-ossidanti come polifenoli, acidi organici, vitamine e carotenoidi possano interagire con PGPMs, influenzandone la risposta allo stress ossidativo.
Miglioramento della WUE e dell’efficienza fotosintetica
I biostimolanti microbici agiscono migliorando l’efficienza d’uso d’acqua, aumentando il potenziale idrico fogliare, il tasso di traspirazione, la conduttanza stomatica e il contenuto idrico relativo. Molti dei microrganismi agiscono modulando le acquaporine e quindi intensificando il potenziale idrico fogliare. Altri invece agiscono mantenendo la conduttanza stomatica alta, garantendo un assorbimento di CO2 durante il processo fotosintetico. In particolare è stato dimostrato come l’effetto di PGPMs intensifichi il tasso di fotosintesi non solo in condizioni di stress, ma anche in condizioni ottimali. Tra l’altro, in diverse colture, inoculi di PGPMs aumentano il contenuto in pigmenti, soprattutto di clorofille, incrementandone la capacità di fotosintesi.
Miglioramento della NUE
Evidenze scientifiche mostrano come le relazioni simbiotiche tra PGPMs e pianta contribuiscano a ottimizzare l’uptake di minerali, la fissazione dell’azoto atmosferico, la solubilizzazione del fosfato, migliorando così la NUE. Il modellamento dell’architettura radicale, indotto da molti microrganismi, aumenta l’efficienza d’utilizzo di nutrienti. Un altro possibile meccanismo attraverso cui i PGPMs contribuiscono ad affinare l’assorbimento di nutrienti è l’acidificazione del suolo. Molti microrganismi, producendo acidi organici, facilitano la solubilizzazione di fosfato e potassio inorganico nel suolo. Inoltre, molti studi hanno evidenziato come la genesi di fitasi e acidi fosfatasi microbiche riescano ad incrementare la mineralizzazione di fosforo.
Altra importante caratteristica dei PGPMs è la produzione di siderofori, composti a basso peso molecolare in grado di complessare lo ione ferrico mediante chelazione. Questo permette l’assimilazione del ferro a livello radicale e l’utilizzo dello stesso in processi fisiologici essenziali per la crescita e lo sviluppo della pianta.
Limitazioni nell’utilizzo di biostimolanti microbici e prospettive future
Sebbene gli effetti benefici dei biostimolanti microbici siano stati dimostrati, ulteriori studi serviranno per chiarirne esattamente l’efficacia in funzione del tipo di coltura, terreno e condizioni climatiche. Evidenze scientifiche suggeriscono come microrganismi isolati dal microbioma delle piante ospiti abbiano maggiore efficacia rispetto a inoculi di microrganismi non endogeni. La caratterizzazione del microbioma vegetale mediante approcci next generation sequencing (NGS) rappresenta quindi uno step chiave nella selezione dei miglior ceppi.
È importante inoltre considerare che nessun microrganismo può essere applicato universalmente ad ogni ecosistema o ospite vegetale, la scelta di particolari ceppi deve essere fatta considerando le proprietà del suolo e le specifiche caratteristiche delle colture, al fine di selezionare il miglior ceppo microbico con le caratteristiche idonee ad ogni particolare esigenza colturale. Non meno importante è la competizione per nutrienti e nicchie ecologiche, tra microflora endogena e ceppo microbico selezionato, che potrebbe ridurne l’efficacia biostimolante.
Concludendo, i biostimolanti microbici possono essere considerati dei veri e propri probiotici vegetali a supporto della realizzazione di un modello di intensificazione sostenibile della produzione vegetale, che miri ad aumentare le rese agricole, preservando le risorse e riducendo l’impatto negativo delle pratiche agricole intensive sull’ambiente.
Fonti:
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- A.M. Castiglione, G. Mannino, V. Contartese, C.M. Bertea, A. Ertani, Microbial biostimulants as response to modern agriculture needs: Composition, role and application of these innovative products, Plants. 10 (2021). https://doi.org/10.3390/plants10081533
- M.S.R. de A. da Silva, B. de M.S. dos Santos, C.S.R. de A. da Silva, C.S.R. de A. da Silva, L.F. de S. Antunes, R.M. dos Santos, C.H.B. Santos, E.C. Rigobelo, Humic Substances in Combination With Plant Growth-Promoting Bacteria as an Alternative for Sustainable Agriculture, Frontiers in Microbiology, 12 (2021) 1–14. https://doi.org/10.3389/fmicb.2021
- M. Basaglia, S. Casella, U. Peruch, S. Poggiolini, T. Vamerali, G. Mosca, J. Vanderleyden, P. De Troch, M.P. Nuti, Field release of genetically marked Azospirillum brasilense in association with Sorghum bicolor L., Plant and Soil, 256 (2003) 281–290. https://doi.org/10.1023/A:1026198522123
Crediti di immagini:
- Figura 1: https://www.mdpi.com/2223-7747/10/8/1533
- Figura 2: https://www.mdpi.com/2073-4395/10/6/79