Tutti ben sappiamo, o almeno così dovrebbe essere, che il cambiamento climatico ha apportato e apporterà sempre più danni al nostro pianeta.
Tra gli ecosistemi più colpiti, troviamo quello delle grandi barriere coralline.
Le barriere coralline: patrimonio naturale dell’umanità
Chi non conosce, o almeno una volta nella vita ha sentito parlare o ha visto un meraviglioso video di questi luoghi sommersi pieni di colori e di vita. I coralli, in particolare la Grande barriera corallina australiana, sono un patrimonio naturale dell’umanità, per la sua grande ricchezza in biodiversità e la sua bellezza.
Essa è la più grande estensione di corallo esistente al mondo, si estende per 2300 km su circa 344.400 km. Talmente estesa che può essere vista anche dallo spazio (Fig.1). Proprio questo grande tesoro che i nostri oceani ci offrono, è attualmente in pericolo. Le minacce più grandi sono:
- il sovrasfruttamento turistico;
- il cambiamento climatico.
Quest’ultimo in particolare attraverso il fenomeno dello sbiancamento dei coralli, ha portato all’estinzione negli ultimi anni di circa il 20% della barriera (2016).
Fenomeni climatici che influenzano lo stato di salute dei coralli
L’impatto della crisi climatica sulle barriere coralline è sempre più consistente. In gran parte è dovuto all’aumento delle temperature superficiali e all’incidenza delle ondate di calore marine. Le ondate di calore, non sono altro che fenomeni anomali di riscaldamento delle acque (Fig.2), con effetti devastanti per gli ecosistemi. Sempre più spesso capita di assistere a fenomeni di durata maggiore, rispetto alle più sporadiche fluttuazioni della temperatura a cui anche i ricercatori stessi erano abituati a non dare la giusta importanza. L’ondata più lunga mai registrata, definita “the blob” dagli esperti, portò a migliaia di morti di esemplari di diverse specie marine.
In seguito all’incremento della durata e dell’intensità di questi eventi termici, sono stati registrati alti tassi di mortalità nelle popolazioni di coralli di tutto il mondo. Per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico sulle popolazioni coralline, i ricercatori sono al lavoro per implementare diverse strategie di bio-conservazione.
Microrganismi e barriere coralline
Uno dei più recenti approcci, secondo un recente studio conservazionistico, sarebbe quello di manipolare la resistenza e la resilienza dei coralli attraverso l’utilizzo di microrganismi tipici del microbioma dei coralli stessi o atipici. I batteri associati ai coralli, sono capaci di fissare nitrogeno, degradare polisaccaridi, e produrre composti antimicrobici che possono inibire la crescita di patogeni. Grazie a precedenti studi che hanno ben descritto il microbioma corallino in molti dei suoi aspetti, la selezione e l’uso di specifici microrganismi con funzione “probiotica” per i coralli è un campo di ricerca tutto nuovo. Questo tipo di approccio fu già proposto nel 2017 in uno studio pubblicato su Frontiers (Peixoto et al 2017).
I batteri vengono selezionati in base alla loro capacità di apportare benefici attraverso una maggiore protezione, mantenimento dello stato di salute del corallo e del suo sviluppo vitale. Per definire questo gruppo selezionati di batteri probiotici, fu utilizzata la definizione di Microrganismi Benefici per i Coralli (BCM). Termine ripreso dall’analogo, per quanto riguarda il settore agricolo, Plant Growth Promoting Rhizosphere (PGPR), ovvero l’utilizzo di microrganismi nella rizosfera per promuovere direttamente o indirettamente lo sviluppo vegetale.
Vettori utili all’applicazione sulle barriere coralline
Sono stati proposti nel tempo, sistemi ingegneristici utili in ambienti chiusi, non applicati per mancanza di evidenze scientifiche dell’utilità di questo consorzio di organismi in sistemi come grandi acquari. In ambiente oceanico, si è pensato, di utilizzare piccoli organismi tipici della fauna (o anche microfauna) delle barriere coralline.
In particolar modo l’utilizzo di piccoli crostacei (Artemia o meglio conosciute come scimmie di mare), rotiferi, copepodi per trasmettere i batteri probiotici ad altri animali, quindi inclusi i coralli. Più nello specifico, lo studio ha ipotizzato l’utilizzo di un rotifero, della specie Brachionus plicatilis, con successivo monitoraggio e tracciamento dell’assorbimento (Fig.4) dei batteri da parte dei coralli appartenenti alla specie Pocillopora damicornis.
Composizione del consorzio
I 7 ceppi scelti, sono stati isolati tutti dal microbioma di P. damicornis cresciuti sia in ambiente naturale che artificiale, e 5 di questi appartengono al genere Pseudoalteromonas, un ceppo di Cobetia marina (una specie di gram-negativi marini) e un ceppo di Halomonas taenensis. Tutti cresciuti su terreni selettivi per batteri marini, come Marine Agar.
Questi una volta selezionati e coltivati, sono stati messi a contatto con i rotiferi, e controllati attraverso scansioni al microscopio elettronico (SEM) per 16 ore. Dopo l’ingestione e la verifica dell’avvenuta interazione, i rotiferi sono stati posti in un acquario contenente alcuni esemplari di P. damicornis. Attraverso l’utilizzo di microscopi digitali, si è verificato che i polipi ingerissero correttamente i rotiferi contenenti il consorzio.
Conclusioni e future ricerche
Attraverso questo studio, i ricercatori hanno dimostrato che l’utilizzo di piccoli organismi marini come vettori e del consorzio di batteri probiotici, debitamente selezionati, può essere utile e speranzoso per combattere il fenomeno dello sbiancamento dei coralli, ed in linea generale potenziare lo stato di salute di questi meravigliosi organismi. In particolar modo, mitigare l’effetto dell’organismo patogeno tipico dei coralli Vibrio coralliilyticus in scenari ad alte temperature. Inoltre molti ceppi di appartenenti al genere Pseudoalteromonas, sono in grado di produrre una classe di molecole batteriostatiche e anfifiliche anti-Vibrio, in grado di prevenire l’adesione e la crescita di altri microrganismi, potenzialmente dannosi.
In aggiunta, sembra che sempre gli stessi batteri, siano in grado di proteggere la regione gastrica dei coralli e proteggere da specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotte in seguito a stress. Il prossimo passo, secondo i ricercatori sarebbe quello di approfondire la durata e l’effettiva applicazione di questi benefici su popolazioni più ampie di coralli e come possa essere facilità la modalità di applicazione stessa.
Nel frattempo, per fare la nostra parte, possiamo anche con piccoli gesti, provare a migliorare la salute dei nostri oceani, tutelandoli dall’inquinamento e guardando sempre con un occhio di riguardo e preoccupazione la sempre più crescente crisi climatica.
Questo articolo è stato tradotto anche in lingua inglese.
Fonti
- https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/terra_poli
- http://www.marineheatwaves.org/barrieracorallina
- https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmicb.2017.00341/full
- https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmicb.2020.608506/full