Le origini della gastronomia: il Lievito madre

Introduzione

Nel corso dello sciagurato 2020 appena trascorso, molti italiani costretti in casa hanno scoperto il piacere di impastare, come passatempo per affrontare il lockdown conseguente alla pandemia. Molti lavoravano e fotografavano le proprie creazioni, ma quanti si sono chiesti cosa stavano effettivamente utilizzando? Più precisamente: cosa si intende per “lievito madre”? Facciamo prima un passo indietro.

Le tipologie di fermentazione sono tre:

  • Lievitazione chimica, con agenti come bicarbonato di sodio o di ammonio. Usata per le preparazioni in pasticceria, non altera generalmente il sapore e serve quando la preparazione viene messa a punto rapidamente, non potendo tenere a riposo l’impasto.
  • Lievitazione fisica, che si basa sull’azione di particelle di aria e vapore acqueo che rimangono intrappolate nell’impasto. Anche qui è tipica della pasticceria e, in particolare, del Pan di Spagna e delle meringhe.
  • Lievitazione biologica. Tipica di tanti tipi di pane tradizionale e altri dolci, così come di bevande quali vino e birra. In questo caso l’agente lievitante è costituito da lieviti o batteri, oppure da entrambe le cose.  

All’interno di questo ultimo gruppo rientrano le lavorazioni con il lievito madre (Fig. 1). Questa dicitura, impropria di per sé, non indica altro che un lievito naturale, contenuto in un impasto di farina e acqua, in cui il materiale fermentante è costituito da microrganismi del genere Saccharomyces, Candida e Lactobacillus.

Le sue origini sono antichissime, e vale la pena di parlarne.

Primo piano di un impasto contenente lievito madre.
Figura 1 – Impasto con lievito madre. (Fonte: biancolievito.it)

Cenni storici

Un autorevole studio americano ha messo in luce che la tecnica della panificazione era già praticata nella “Mezzaluna fertile”, in Giordania, circa 14.000 anni fa. Ed è in effetti molto sensato pensare che la produzione di pane con lievito naturale sia nata parallelamente allo sviluppo delle tecniche agricole.
Questa pratica è stata tramandata per millenni; la sua vera origine, così come le possibili diramazioni, sono tutt’ora oggetto di dibattito.
Una delle testimonianze scritte più antiche di questa pratica ci arriva da Plinio il Vecchio, che scriveva così:

Viene impiegato solo l’impasto conservato il giorno precedente;
  è naturale, evidentemente, che l’acidità faccia fermentare l’impasto”

(Storia Naturale, 18:26)

Si trattava quindi di ottenere il materiale fermentante dall’impasto del giorno precedente, che veniva quindi conservato e riutilizzato volta per volta. Come noterete, era pensiero comune che ad azionare il processo fosse, generalmente, l’acidità.

Solo molto più tardi, nel Medioevo, si iniziò ad ottenere questo materiale da un’altra fonte: la schiuma di fermentazione delle bevande alcoliche, quali vino e birra. Questa alternativa venne poi preferita e tramandata, soprattutto nella tradizione anglosassone.

Preparazione del lievito madre

La produzione del lievito madre prevede l’utilizzo di quello che in termine tecnico viene definito “starter”. Si tratta di un miscuglio di acqua, farina e prodotti fermentanti, che serve appunto a ravvivare i batteri e i lieviti responsabili della reazione, prima che questa prende propriamente atto, nella successiva fase di produzione.

A seconda della loro composizione, e della tipologia del materiale da fermentare, gli starter possono essere di diversa natura. In ogni caso, sfruttano i lieviti e batteri naturalmente contenuti nella farina. L’impasto in preparazione viene di tanto in tanto lavorato con aggiunta di acqua e farina, e conservato in maniera diversa a seconda della diversa tradizione che si è tramandata.

Nella tradizione culinaria del Sud Italia, in particolare, lo starter si conserva in polvere o granuli, e prende il nome di “Criscito”. In quest’area, tante lavorazioni hanno portato a prodotti certificati che hanno ottenuto un marchio DOP (Fig. 2).

Varianti di pane di Altamura DOP pronte alla vendita
Figura 2 – Pane di Altamura DOP, ottenuto con lievitazione naturale. (Fonte: museodelpaneforte.it)

A seconda della temperatura, della aggiunta di acidità e del tipo di farina, la lievitazione sarà differente, così come, ovviamente, il risultato finale. In particolare, l’ambiente acido e la temperatura servono ad inibire la crescita di specie patogene per l’uomo.

Caratteristiche chimiche

Il lievito madre risulta quindi in una preparazione che può contenere Lactobacilli, responsabili di una fermentazione lattica, e lieviti come Saccharomyces cerevisiae, che invece si caratterizza in questo senso con una fermentazione alcolica.

I lattobacilli sono anaerobi aerotolleranti, in grado di resistere allo stress ossidativo, ma che non richiedono ossigeno molecolare per il loro metabolismo. Sono organismi eterofermentanti e convertono gli esosi in lattato, CO2 e acetato o etanolo. I lieviti, dal canto loro, trasformano gli zuccheri semplici presenti nell’impasto in CO2 ed etanolo.
L’anidride carbonica intrappolata nell’impasto porta al successivo rigonfiamento tipico della lievitazione, mentre l’etanolo prodotto evapora durante la cottura.

Composizione del lievito madre

Come accennato, la composizione dei lieviti naturali può variare, dando origine a diversi tipi di impasto.

Molto generalmente, si possono riconoscere tre tipologie differenti:

  • I lieviti naturali di Tipo I sono presenti negli impasti compatti, con un valore di pH compreso tra 3,8 e 4,5 e vengono fermentati a una temperatura compresa tra 20 e 30 ° C. Gli organismi più rappresentativi sono il L. sanfranciscensis e L. pontis.
  • Nei lieviti naturali di Tipo II, ai Lactobacilli presenti nel tipo I, si aggiunge il  lievito di birra o Saccharomyces cerevisiae per far lievitare l’impasto; hanno un pH inferiore a 3,5 e fermentano a temperature comprese tra 30 e 50 ° C. In questo caso l’impasto è più liquido.
  • I lieviti naturali di Tipo III sono lieviti naturali di Tipo II sottoposti a un processo di essiccazione. Si utilizzano principalmente a livello industriale come agenti aromatizzanti. Sono rappresentati da batteri quali Pediococcus pentosaceus, L. plantarum e L. brevis. Le condizioni di essiccazione, il tempo e il calore applicati possono essere variati per influenzare la caramellizzazione e produrre le caratteristiche desiderate nel prodotto da forno.

Nonostante questa classificazione molto generale, serve ricordare che esistono in tutto il mondo tantissime varietà, che danno origine a prodotti diversi. Tanti di questi preparati sono disponibili in commercio. A tal proposito, i più puristi, soprattutto nel campo della birra, hanno posto qualche dubbio che si possa parlare ancora di prodotto naturale, restringendo questa denominazione soltanto a prodotti dalla fermentazione spontanea.

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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