Il lavoro del team di ricercatori del Dipartimento di Psichiatria e Neurobiologia Comportamentale dell’University of Alabama in Birmingham, capitanato dalla Neuroanatomista Rosalinda C. Roberts, ha presentato al meeting annuale della Società di Neuroscienze un lavoro di ricerca a dir poco sensazionale.
Il cervello è stato considerato storicamente un ambiente sterile; un filtro selettivo chiamato barriera emato-encefalica previene la diffusione di specifici composti tossici e batteri dal circolo sanguigno verso il cervello ma la scoperta di questo gruppo di ricerca potrebbe ribaltare completamente la visione.
Indagando le differenze anatomiche tra pazienti sani e schizofrenici
Il team della Roberts stava ricercando differenze anatomiche tra cervelli appartenuti a persone schizofreniche e persone sane e non avrebbe mai immaginato di poter identificare dei batteri nel tessuto cerebrale.
Grazie all’aiuto di un microscopio elettronico ad altissima definizione più volte il team aveva notato la presenza di oggetti sconosciuti a forma di bastoncello e solo successivamente, con l’aiuto di un microbiologo esperto, questi oggetti sono stati identificati come batteri. I batteri erano presenti in tutti i campioni del cervello analizzati, sia delle persone sane sia di quelle affette da schizofrenia.

Come i batteri si distribuiscono nel tessuto nervoso
Il team della Roberts osservò come la densità microbica variava al variare della regione cerebrale presa in considerazione: abbondanti batteri si ritrovavano nella Sostanza Nera, nell’Ippocampo e nella Corteccia Prefrontale, mentre in numero decisamente minore nello Striato.
Sono stati trovati in posizione peri– e intracellulare soprattutto nelle porzioni terminali degli astrociti e nei dendriti e nel soma delle cellule gliali. Sono stati ritrovati in modo abbondante anche intorno e all’interno degli assoni dotati di mielina.
Le tipologie dei batteri ritrovati nel cervello
Il sequenziamento degli RNA ha dimostrato che i batteri appartenevano principalmente a tre phyla di comune ritrovamento nell’intestino umano: Firmicutes, Proteobacteria e Bacteroidetes.
Sono state proposte delle teorie su come questi batteri abbiano raggiunto il sistema nervoso centrale: tramite il circolo sanguigno, i nervi periferici o addirittura tramite la mucosa nasale. È interessante notare che non c’erano segni strutturali di infiammazione in nessuno dei cervelli esaminati. Al momento non è chiara la via di ingresso dei batteri, ma l’evidenza di questi negli assoni e nella barriera emato-encefalica supporta le precedenti speculazioni.

Contaminazione post mortem da parte dei batteri?
Come ci sono arrivati dei batteri lì nel cervello? La prima ipotesi dei ricercatori fu quella della contaminazione durante l’autopsia, successivamente ipotizzarono anche un tempo eccessivo trascorso tra la morte dei pazienti e il campionamento del tessuto cerebrale: i batteri avrebbero potuto attraversare la barriera emato-encefalica che dopo la morte si sarebbe degradata permettendone il passaggio, ad esempio dall’intestino al circolo sistemico e poi al sistema nervoso centrale.
La Professoressa Roberts spiega: “per affrontare la possibilità che i batteri nel tessuto umano fossero il risultato di un artefatto post mortem, abbiamo esaminato i cervelli di topo che erano stati messi a riparo immediatamente dopo la morte; c’erano abbondanti batteri in posizioni intracellulari simili.
Per eliminare la possibilità che la presenza dei batteri fosse dovuta alla contaminazione, abbiamo esaminato i cervelli di topo germ free (privi di germi) cresciuti in condizioni sterili e trattati poi in modo identico ai precedenti; non abbiamo rilevato alcun batterio, il tessuto era uniformemente pulito. L’osservazione che la posizione dei batteri era altamente specifica e profonda all’interno dei campioni contesta l’ipotesi della contaminazione.”
Altri team di ricerca hanno ottenuto risultati simili
Anche il Laboratorio di Biologia Molecolare delle patologie neurodegenerative del Dipartimento di Fisiologia integrata dell’University of Colorado Boulder sembrerebbe dar ragione al team della Roberts.
Durante l’analisi dei dati del trascrittoma cerebrale umano hanno notato un livello incredibilmente alto di sequenze microbiche che sembrano differenziarsi a seconda della regione cerebrale presa in considerazione. La ricerca è ancora in corso perché è concreta la possibilità che questo ritrovamento non sia da collegare ad una contaminazione post mortem bensì potrebbe riflettere l’effettiva presenza di microbi residenti nel tessuto cerebrale.
Conclusioni e implicazioni future
Lo scetticismo con cui è stato accolto questo lavoro proviene anche dalla Professoressa Roberts stessa poiché non è possibile stabilire se questo avvenga anche nei cervelli dei viventi e se cambino i pattern batterici da individuo a individuo.
“C’è molto da investigare sulla possibilità che esista un microbioma cerebrale” aggiunge Teodor Postolache, uno Psichiatra dell’University of Maryland in Baltimore. “Ho studiato il parassita protozoario Toxoplasma gondii, che invade il cervello ma non sempre causa delle patologie manifeste, non sono molto sorpreso all’idea che altre forme microbiche potrebbero viverci, pur senza dare segno di sè. […] è sicuramente un concetto rivoluzionario.“
La ricerca non si ferma e sono in atto numerosi studi in tutto il mondo per verificare l’attendibilità di tali affermazioni e di come la presenza di batteri cerebrali possa influenzare la vita di soggetti sani e malati.

Fonti
- R. C. ROBERTS, C. B. FARMER, C. K. WALKER;
Psychiatry and Behavioral Neurobio., Univ. of Alabama, Birmingham, Birmingham, AL. The human brain microbiome; there are bacteria in our brains!. Program No. 594.08. 2018 Neuroscience Meeting Planner. San Diego, CA: Society for Neuroscience, 2018. Online. - https://www.sciencemag.org/news/2018/11/do-gut-bacteria-make-second-home-our-brains
- https://www.nature.com/articles/d41586-018-07416-8
- https://www.colorado.edu/lab/neurodegeneration/there-brain-microbiome
- http://sitn.hms.harvard.edu/flash/2018/bacteria-may-live-naturally-inside-human-brain/