Ogni giorno ci rechiamo a lavoro, ci apprestiamo fare la spesa nel nostro centro commerciale preferito, andiamo al cinema, insomma, viviamo la nostra quotidianità.
Tutti questi luoghi hanno però un elemento in comune, che spesso non viene affrontato con le dovute cautele e prevenzioni, l’impianto di trattamento aria.
Questi spesso sono contaminati da agenti biologici, alcuni portatori di malattie o allergie. Tra queste troviamo le endotossine che possono essere definite come dei composti tossici che si sviluppano all’interno di batteri. Più precisamente, usando la definizione utilizzata dall’Inail, si possono definire come “componenti integrali della membrana esterna dei batteri gram-negativi (Enterobacteriaceae, Pseudomonadaceae e Rhodospirillaceae)”. A differenza delle esotossine, le endotossine sono di natura lipopolisaccaridica ed hanno profili d’azione molto simili tra loro.
Sono lipopolisaccaridi (LPS) costituiti da una catena polisaccaridica variabile che fornisce la specificità sierologica ai diversi siero-tipi di gram negativi (immunogenicità), da una regione polisaccaridica strutturalmente simile tra le varie specie batteriche (core region) e da regione glicolipidica altamente conservata (lipide A), responsabile della tossicità del complesso. Le endotossine vengono rilasciate in piccole quantità nell’ambiente durante la normale crescita batterica ma, nella maggioranza dei casi, vi rimangono associate fino alla morte del microrganismo (lisi) e per tale ragione risultano essere frequenti contaminanti ambientali.
Gli studi sulle endotossine iniziarono subito dopo le scoperte di Robert Koch, e fu Richard Pfeiffer a rilevare che l’agente eziologico del colera produceva anche una molecola che veniva rilasciata solo quando le cellule si decomponevano, e nell’ipotesi che la sostanza rimanesse all’interno del microrganismo, la chiamò endotossina, anche se poi si è scoperto che quest’ultima si trova sulla superficie della cellula. Solamente successivamente alcuni ricercatori compresero le caratteristiche della tossina che era resistente al calore. Murray J.Shear, scoprì che la sostanza tossica, capace di provocare una diminuzione dei tumori era costituita di lipidi e polisaccaridi. Alla fine degli anni quaranta Otto Westphal e Otto Luderitz dimostrarono che tutti i gram-negativi producevano endotossine. In seguito, i ricercatori stabilirono che endotossine formate solo dal lipide A erano tossiche allo stesso modo delle molecole costituite dal polisaccaride intero. Studi recenti hanno confermato le prime ipotesi sulle caratteristiche delle endotossine ed oggi c’è una attenzione particolare per queste molecole.
Ma esistono attività più a rischio?
L’esposizione a questo agente è diversa nei diversi settori occupazionali, quindi uffici, centri commerciali, centri sportivi, ma sicuramente è presente a concentrazioni più alte in quei luoghi in cui non manca il materiale organico, come le industrie zootecniche, gli impianti di macellazione o gli impianti di trattamento acque reflue per esempio.
A oggi ancora non esistono tabelle in cui vengono indicati i valori massimi di esposizione, ma esistono in letteratura dei valori di riferimento poiché causa di effetti sulla salute dei lavoratori.
Il DECOS (Dutch Expert Committee on Occupational Health Standard) ha recentemente proposto un limite di esposizione pari a 90 EU/m3 (unità di endotossine/metro cubo di aria campionata, ndr) nelle 8 ore lavorative. Infatti concentrazioni superiori a 100 EU/m3 possono determinare infiammazioni delle vie aeree, mentre concentrazioni superiori a 1.000 EU/m3 sono in grado di provocare effetti sanitari acuti con sintomi respiratori e sistemici (ODTS – Organic Dust Toxic Syndrome).
Ma cosa possiamo fare per prevenire questi problemi?
Nei luoghi in cui è possibile come richiesto dal DVR sarà necessario indossare i corretti DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) per diminuire l’esposizione a questi agenti.
Nei luoghi di lavoro come gli uffici, dove per forza di causa maggiore non è possibile lavorare con maschere la miglior prevenzione è quella di eseguire le corrette operazioni di manutenzione degli impianti aeraulici, predisponendo un piano di lavoro che preveda oltre alla sostituzione periodica dei filtri, anche l’intera sanificazione di tutte le singole componentistiche che lo compongono (UTA, batterie di scambio, canalizzazioni)
Ricordate sempre, la prevenzione non è un costo.
Andrea Miano
Fonti:
- Inail, “Strategie di monitoraggio dell’inquinamento biologico nell’aria in ambienti indoor”;