Gli HIV controllers: La resistenza all’HIV

Il virus dell’HIV ad oggi resta uno degli agenti patogeni più temuti, usato molto spesso come esempio o modello a causa delle sue brillanti capacità di eludere il sistema immunitario, le conseguenze che comporta a livello sistemico ed a causa dell’assenza di una terapia eradicante.

L’AIDS sta per sindrome da immunodeficienza acquisita, una malattia che rende difficile al corpo contrastare le altre malattie infettive. L’agente patogeno responsabile viene identificato come il virus dell’HIV. L’HIV causa l’AIDS infettando e danneggiando parte delle difese del corpo contro le aggressioni esterne, i linfociti, in particolare, che hanno il compito di scacciare i batteri e virus invasori.

Il primo caso di AIDS fu riportato nel 1981. I dati diffusi dall’OMS indicano che dall’inizio dell’epidemia i pazienti ad aver contratto l’infezione sono oltre 70 milioni e fino ad oggi la malattia ha mietuto circa 35 milioni di vittime nel mondo. Di fronte a questi numeri allarmanti possiamo tuttavia individuare anche lati positivi, come il fatto che tra il 2000 e il 2016 le nuove infezioni da HIV siano diminuite del 39% e le morti ridotte di un terzo. Ad oggi sono circa 37 milioni i pazienti che nel mondo vivono con l’HIV, di cui 22 milioni in cura e il 25% che ignora la propria condizione di sieropositività, ponendo a rischio sé stesso e i partner. Questa ultima affermazione è possibile a causa delle caratteristiche intrinseche dell’infezione, essa infatti si divide in 4 fasi:

INCUBAZIONE: periodo di 2 o 4 settimane, asintomatico, in cui il virus si replica all’interno dell’organismo;

INFEZIONE ACUTA: può durare mediamente 28 giorni ed essere asintomatica o mostrare sintomi simil-influenzali (febbre, stanchezza, malessere, faringite) che vengono quindi sottovalutati dal paziente;

FASE DI LATENZA: asintomatica;

AIDS: ultima fase, il paziente presenta un sistema immunitario scompensato ormai dall’infezione e questo lo rende vulnerabile ad altre infezioni e più soggetto anche a tumori, tutto ciò può comportare conseguenze gravi o letali per il paziente stesso.

In questo lugubre scenario però, vi è una flebile luce che potrebbe illuminare la via della ricerca, costituita da una piccolissima porzione di pazienti definiti HIV CONTROLLERS. Non stiamo parlando di supereroi, ma bensì di soggetti che pur contraendo l’infezione sono in grado, grazie a particolari caratteristiche, di controllarla senza alcun trattamento esterno con terapia antiretrovirale (ART).

Studi effettuati su questi soggetti mostrano come essi presentino una viremia molto bassa, una estremamente lenta perdita di linfociti TCD4 + ed una diminuzione della progressione della malattia verso l’immunodeficienza.

Ottenuto ciò, si è cercato di comprendere quali potessero essere i meccanismi in grado di alterare il processo di patogenesi del virus e tra i tanti possibili check point, uno in particolare ha catturato l’attenzione dei ricercatori e del mondo scientifico, stiamo parlando della proteina APOBEC3G (A3G). Questa proteina è membro di una famiglia di citidina deaminasi ed in particolare, tra tutte è quella con attività antivirale più potente. A3G, in breve, è una proteina che sabota la trascrizione inversa, il processo su cui l’HIV fa affidamento per la sua replicazione. Questo processo coinvolge il virus che trascrive il suo genoma dell’RNA a filamento singolo in DNA a doppio filamento che è incorporato nel genoma della cellula. Solitamente, la A3G viene espressa nel nostro organismo per bloccare i virus dormienti nel genoma umano, chiamati retrovirus endogeni, dal risveglio e dalle infezioni.

Quando un soggetto contrae l’HIV e L’A3G è presente in quantità adeguate, l’enzima viene incorporato nelle particelle virali e attacca l’RNA dell’HIV o il DNA recentemente ottenuti: i residui di citosina (C) vengono trasformati in residui di uracile (U) nell’RNA virale o guanosina (G) in adenosina (A), dando così una forma non attiva del genoma dell’HIV (Figura 1).

Figura 1: Restrizione dell’HIV da parte delle proteine APOBEC3. Queste proteine possono incapsidarsi nei virioni dell’HIV e provocare la deaminazione della citosina in uracile nel cDNA virale al momento dell’iniziazione della trascrizione inversa (RT) in cellule bersaglio. L’HIV-1 Vif supera il blocco di restrizione APOBEC3 nella cellula produttrice legando CBF e reclutando un complesso di ligasi di E3 ubiquitina che permetteranno la degradazione di A3G tramite proteasoma.

La domanda lecita ora è come mai allora solo poche persone riescono a tenere a bada questa infezione e risultare quasi immuni? C’è un motivo per il quale l’HIV, come definito in precedenza, viene spesso preso come modello, è un virus estremamente INTELLIGENTE.

Il virus è dotato di una proteina di 22 KDa, Vif, coinvolta nella replicazione virale e soprattutto nella formazione delle particelle virali, che è responsabile della degradazione di APOBEC3G, impedendo il suo incapsulamento nelle particelle virali, precludendo in tal modo la modifica del genoma virale e permettendo alla replicazione virale di procedere.

Il meccanismo attraverso il quale ciò viene realizzato è il reclutamento di ubiquitin ligasi cellulari e la conseguente eliminazione di APOBEC3G nei proteasomi.

Potremo definirla come una vera e propria guerra dove sia il virus che l’ospite tentano di difendersi come possono battendosi per la supremazia e la sopravvivenza. Purtroppo nella maggior parte dei casi questa linea di difesa non basta.

Tranne che per i nostri suddetti “Supereroi” nei quali si è riscontrata una più alta espressione di APOBEC3G, la quale conferisce una resistenza all’infezione e permette loro di controllarla. Questa è stata una scoperta davvero importante soprattutto da un punto di vista terapeutico. Una speranza per le nuove strategie terapeutiche potrebbe essere proprio interferire con l’abilità di Vif e APOBEC3G di interagire.

APOBEC3G può essere distinto dagli altri membri della famiglia delle deaminasi della citidina dalla sua struttura caratterizzata da dita di zinco, che possono essere essenziali per l’interazione con Vif. Queste dita di zinco possono rappresentare un potenziale bersaglio per lo sviluppo di farmaci. Tuttavia, tali approcci possono rivelarsi tossici perché molte proteine ​​cellulari possiedono anche dita di zinco.

Un’altra strategia potrebbe essere quella di cercare di aumentare i livelli di APOBEC3G normalmente presenti all’interno delle cellule. Sebbene un simile approccio possa essere contemplato attraverso approcci genetici, questo potrebbe non facilmente tradursi in uno sviluppo efficace del farmaco antivirale.

In conclusione, la battaglia contro questo mostro della virologia sembra essere ancora molto complicata da combattere, ma non dimentichiamoci che anche l’uomo, come gli agenti patogeni, è un organismo, complesso, furbo ed intelligente, sempre in mutamento, sempre in evoluzione, di cui la scienza sa molto, ma non tutto. Sia mai che la risposta a questa guerra sia proprio dentro di NOI?

Ilaria Bellini

Bibliografia:

  • “The Restriction Factors of Human Immunodeficiency Virus” Reuben S. Harris, Judd F. Hultquist ,and David T. Evans
  • “APOBEC3 proteins can copackage and comutate HIV-1 genomes” Belete A. Desimmie, Ryan C. Burdick, Taisuke Izumi, Hibiki Doi, Wei Shao, W. Gregory Alvord.
  • “Lower HIV Provirus Levels Are Associated with More APOBEC3G Protein in Blood Resting Memory CD4+ T Lymphocytes of Controllers in vivo”
    Maria Pia De Pasquale, Yordanka Kourteva, Tara Allos, Richard T. D’Aquila
  • “Public T cell receptors confer high-avidity CD4 responses to HIV controllers” Daniela Benati, Moran Galperin, Olivier Lambotte.


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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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