La nanobussola dei batteri magnetotattici: storia dell’enigma durato mezzo secolo

I batteri magnetotattici (MagnetoTactic Bacteria, MTB) (Fig. 1) sono una classe di batteri scoperta negli anni ‘60 che presenta la caratteristica capacità di disporsi lungo le linee del campo magnetico terrestre. Tale fenomeno prende il nome di magnetotassi.

Figura 1 – Fotografia al microscopio di batteri magnetotattici.

Essi si trovano solitamente nella zona di transizione acqua-sedimenti (Oxic-Anoxic Transition Zone, OATZ) e ne esistono di diversa morfologia (bastoncellari, coccoidei, vibrioidi, spiraliformi). Diversi MTB contengono un differente numero, disposizione e forma di particelle magnetiche dei batteri (Bacterial Magnetic Particle, BMP) rivestite da una membrana lipidica per la loro compartimentazione. Il complesso BMP e membrana prende il nome di magnetosoma.

I magnetosomi funzionano come una bussola soltanto quando sono opportunamente allineati in una catena ordinata, capace di annullare la tendenza all’agglomerazione, e i cristalli stessi devono avere numero, dimensione e forma ben precisi.

I MTB possono essere suddivisi in due categorie sulla base della natura chimica delle particelle magnetiche prodotte, rappresentate da magnetite (IIIFe2IIFeO4)(Fig. 2) e greigite (IIIFe2IIFeS4), anche se alcune specie le producono entrambe.

Figura 2 – Magnetite, il minerale ferroso con il più alto tenore di ferro (72%).

La biomineralizzazione della magnetite richiede meccanismi regolatori della concentrazione di ferro, della nucleazione del cristallo, del potenziale redox e del pH. La maggior parte degli MTB mineralizzanti magnetite necessita di un ambiente microaerofilo per generare i magnetosomi. Al di sopra una certa soglia di ossigenazione, però, essi non producono più BMP e perdono quindi la magnetotassi. I batteri mineralizzanti magnetite fanno parte del sottogruppo alfa dei Proteobatteri.

I MTB mineralizzanti greigite, invece, sono anaerobi stretti e sono associati ai batteri solfato riduttori, quindi rientrano nel sottogruppo delta dei Proteobatteri.

Figura 3 – Fotografia delle particelle magnetiche dei batteri (BMP) allineate secondo le linee del campo magnetico all’interno di una cellula batterica della specie Magnetospirillum magneticum.

Le BMP interagiscono formando delle catene (Fig.3). Il dipolo magnetico della cellula è quindi la somma dei dipoli delle singole BMP ed è grande abbastanza da orientare passivamente la cellula e sopraffare le forze termiche casuali di un ambiente acquoso. In presenza di più di una catena, le forze di repulsione intercatena spingono le stesse ai bordi della cellula, inducendo turgore.

La prima pubblicazione scientifica su questa classe di batteri risale al 1963, ad opera di Salvatore Bellini, un laureato in medicina dell’Istituto di microbiologia dell’Università di Pavia. Egli notò infatti che sul suo vetrino da microscopio sul quale era depositato del fango di palude, un gruppo di batteri si muoveva decisamente in un’unica direzione. Capì presto che questi microrganismi stavano seguendo le linee del campo magnetico terrestre, da sud a nord, da cui l’aggettivo “magnetosensibili”. In seguito, nel 1975 un laureato in microbiologia, Richard Blakemore, in un articolo su Science denominò questi batteri con l’aggettivo “magnetotattici”.

Questi batteri sono stati studiati per decenni e sottoposti ad innumerevoli esperimenti, al fine di spiegare la biologia alla base di questo fenomeno caratterizzato da un grande potenziale applicativo nel mondo delle biotecnologie.

I batteri magnetotattici sono stati portati persino a bordo dello Space Shuttle per esaminarne la magnetotassi in assenza di gravità, senza però giungere a conclusioni eclatanti. Sono anche stati “accusati” di esistere su Marte per via del ritrovamento di particelle magnetiche su un meteorite che si crede provenga dal pianeta rosso, ma anche in tale occasione è stata evidenziata l’incertezza dei risultati.

Soltanto nel 2005 due gruppi di ricerca tedeschi, appartenenti al Max Planck Institue for Marine Microbiology di Brema e al Max Planck Institute of Biochemistry di Martinsriedhe, pubblicarono sulla rivista Nature la scoperta delle nanobussole dei batteri magnetotattici, identificando la proteina responsabile della formazione della catena di magnetosomi nei batteri magnetotattici.

Il vero enigma consisteva dunque nella comprensione del meccanismo di formazione di questa catena, e proprio studiando il genoma del batterio Magnetospirillum gryphiswaldense Dirk Schüler e i suoi collaboratori individuarono una regione contenente fino a trenta geni che regolano appunto la formazione di questa delicata e complessa struttura. In particolare, oggetto della scoperta fu una proteina, mamJ, che partecipa ad incorporare ogni singolo cristallo di magnetite nell’opportuna vescicola. Attraverso esperimenti di manipolazione genetica del batterio studiato, fu inoltre constatato che la mancanza di questa proteina non impedisce la formazione dei cristalli di magnetite, ma il sensore magnetico che ne deriva è nettamente meno sensibile di quello ottenuto in presenza della proteina. Essa, infatti, determina un preciso allineamento dei magnetosomi lungo il citoscheletro batterico, partecipando essa stessa alla struttura.

Questo studio permise quindi importanti passi avanti nella comprensione del meccanismo di funzionamento della magnetotassi: dalla struttura dettagliata del magnetosoma, alla regolazione genica della sua formazione, all’importanza delle funzioni citoscheletriche in cellule procariote.

Infine, nel 2012, alcuni ricercatori statunitensi hanno isolato, identificato e fatto crescere un nuovo tipo di batterio magnetotattico, chiamato BW-1. Tale batterio fu localizzato nella Valle della Morte, una valle deserta che si trova in California, all’interno del Deserto Mojave.

Si tratta del bacino più basso, secco e caldo in tutto il Nord America, caratterizzato da temperature ben al di sopra dei 50°C e con rarissime precipitazioni. Le forme di vita che si sono riuscite ad adattare a questo ambiente estremo sono molto poche, ma d’altra parte questo inferno rappresenta un vero paradiso per gli astrobiologi alla ricerca di estremofili, cioè batteri in grado di sopravvivere in condizioni estreme, che possono aiutarci a capire come la vita potrebbe essersi adattata su altri pianeti, con condizioni ben diverse dalle nostre.

Il batterio BW-1 è stato il primo batterio magnetotattico della storia ad essere coltivato in laboratorio ed essere in grado di produrre la greigite. Esso,infatti, ha permesso per la prima volta di estrarre e testare i cristalli di greigite per applicazioni biomediche e nanotecnologiche fino ad allora basate sull’uso della magnetite.

In generale, da molti anni ormai le caratteristiche dei batteri magnetotattici sono state mostrate come adatte ad un pianeta simile a Marte. Se ci fossero depositi di acqua ancora liquida sotto la superficie di Marte in contatto con depositi di minerali di ferro e zolfo, molto probabilmente batteri simili a questi potrebbero essere abbondanti.

Inoltre, il fatto che anche animali superiori quali salmoni o uccelli possiedano analoghi nanomagneti nei loro tessuti, potrebbe aprire nuovi campi di ricerca allo scopo di scoprire eventuali analogie per ciò che riguarda la formazione ed il funzionamento di queste strutture.

Nicola Di Fidio

Sitografia

Crediti immagini

  • https://www.kent.ac.uk/news/science/19062/breakthrough-could-see-bacteria-used-as-cell-factories-to-produce-biofuels
  • http://www.link2universe.net/2012-01-04/microbi-magnetici-scoperti-nella-valle-della-morte/
  • https://it.wikipedia.org/wiki/Magnetite
  • http://www.meteoweb.eu/2012/10/ricercatori-ingv-scoprono-un-nuovo-batterio-magnetotattico-lhanno-chiamato-magnetobrivio-blakemorei/157248/

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