Nelle piante terrestri, gran parte della materia organica è costituita da polisaccaridi (cioè zuccheri complessi) insolubili, il più importante dei quali è la cellulosa.
La cellulosa è infatti il principale costituente della parete che circonda tutte le cellule vegetali; essa è un polimero formato, da 300 a 3000 unità di molecole di glucosio (uno zucchero semplice), unite tra loro da un particolare legame chimico.
Moltissimi mammiferi, e con loro la maggior parte degli animali la cui dieta abituale prevede comunque una componente vegetale, non possono digerire la cellulosa e pertanto sono incapaci di utilizzarla come fonte di nutrimento. Infatti, essi non dispongono nel proprio genoma di geni che codifichino per gli enzimi specifici per rompere il legame chimico che unisce tra loro le unità di glucosio in questo polimero. Dal punto di vista alimentare, la cellulosa ha per questi animali la semplice funzione di fibra che coadiuva ed agevola il transito intestinale.
Esistono tuttavia alcune categorie di mammiferi prettamente erbivori che nel corso di una lunga e complessa evoluzione hanno messo a punto una strategia, basata sulla simbiosi con alcuni microrganismi specifici, che permette loro di digerire e ricavare nutrimento anche dalla cellulosa: i più noti in tal senso sono i bovini, gli ovini ed i caprini.
Questi animali infatti dispongono di uno speciale organo digerente aggiuntivo, il rumine, in cui ha sede un vero e proprio ecosistema batterico molto articolato che comprende numerose specie sia procariote che eucariote di vario tipo. Esso è inoltre il primo organo in cui transita il cibo ingerito prima di raggiungere lo stomaco vero e proprio, e questa sua posizione è ideale perchè funga da sito in cui possano avvenire tutte le reazioni biochimiche necessarie per ricavare il massimo nutrimento possibile da ogni pasto. Ma non è certo questa l’unica prerogativa importante del rumine: esso è anche molto spazioso (ha un volume che oscilla tra i 100 ed i 150 litri in un bovino ed i 6 litri in una pecora), ha una temperatura fisiologica molto elevata (intorno ai 39 gradi Celsius), un pH costante (di circa 6,5) ed è infine un ambiente completamente anossico (cioè privo di ossigeno). Tali condizioni creano al suo interno un microclima in cui possono vivere indisturbate molte specie batteriche che hanno proprio, tra gli altri, anche gli enzimi necessari a scindere la cellulosa in glucosio libero.
Questi microrganismi costituiscono il microbiota caratteristico dei ruminanti e comprendono numerosi e diversi batteri anaerobi sia Gram negativi che Gram positivi: tra i primi i più importanti sono Fibrobacter succinogenes (che idrolizza appunto la cellulosa) (Fig.1) e Ruminobacter amylophilus (che invece digerisce l’amido); come Gram negativi invece vanno menzionati Ruminococcus albus (anch’esso cellulosolitico) e Lachnospira multiparous (Fig.2) (che è un pectinolitico: quando la dieta dell’animale è ricca in modo particolare di fieno di leguminose, che contiene appunto il polisaccaride pectina, esso ne elabora la digestione).
Il glucosio che viene ricavato da cellulosa, amido e pectine grazie all’azione dei microrganismi sopramenzionati non viene utilizzato tal quale dall’animale, come si potrebbe pensare, ma viene ulteriormente processato dai batteri attraverso alcune reazioni di fermentazione che danno come risultato finale una miscela di acidi grassi (tra cui acido acetico, proprionico e butirrico) che passeranno poi al flusso sanguigno attraversando le pareti del rumine e costituiranno le vera fonte d’energia per il ruminante.
Parte naturale di questo complesso microbiota sono anche batteri metanogeni quali Methanobrevibacter ruminantium e Methanomicrobium mobile: essi sfruttano l’idrogeno liberato durante le fermentazioni batteriche cui si accennava per ridurre l’anidride carbonica (un altro prodotto di questi processi) a metano, che l’animale poi espelle fisiologicamente.
I processi digestivi e le reazioni biochimiche che avvengono nel rumine sono complesse e non si entrerà nel dettaglio della loro trattazione, esulando ciò dalle finalità di questo articolo.
Quello che è importante sottolineare è invece che, grazie alla presenza di questo microbiota così particolare, i ruminanti riescono a ricavare energia e nutrimento dalle tre principali categorie di polisaccaridi che compongono la loro dieta (cellulosa, amido e pectine appunto) anche senza avere essi stessi i geni per i relativi enzimi digestivi necessari nel proprio genoma.
Inoltre, la catena alimentare microbica è articolata in diversi stadi e a partire dalla cellulosa ottiene come prodotti finali anidride carbonica e metano, grazie alla successione delle reazioni biochimiche catalizzate dai batteri citati e che appartengono a gruppi fisiologicamente diversi tra loro. In particolare, dapprima intervengono i cellulosolitici o gli amidolitici o i pectinolitici (secondo l’alimentazione del ruminante in quel momento) che scindono i polisaccaridi in zuccheri più semplici, quindi i batteri fermentanti che producono CO2 e H2 sfruttando gli zuccheri liberati dai precedenti, infine i Metanogeni, che utilizzando i prodotti di fermentazione sintetizzano il metano come risultato finale.
Oltre a svolgere queste funzioni digestive, il microbiota del rumine sintetizza anche numerose proteine e vitamine che vengono poi recuperate dall’animale stesso ed utilizzate quali nutrimento: in questo modo i ruminanti risultano dotati di un indiscusso vantaggio evolutivo rispetto ai non ruminanti, che hanno invece un’alimentazione solitamente carente in componenti proteiche.
Il rumine contiene una grande quantità totale di procarioti, stimata tra 10^10 e 10^11 batteri/gr di fluido, ma la biodiversità del microbiota del rumine non si ferma certo alle sole specie procariote: come si è detto, di esso infatti fanno parte anche alcune particolari specie eucariotiche. In particolare è presente una ricca fauna di protozoi, quasi esclusivamente ciliati ed anaerobi obbligati (proprietà piuttosto rara quest’ultima tra gli eucarioti). Anch’essi sono capaci di idrolizzare la cellulosa e fermentare gli zuccheri risultanti ad acidi organici, ma si ritiene che abbiano soprattutto un ruolo di controllo e bioregolazione: hanno all’occorrenza infatti capacità fagocitica nei confronti dei batteri e la utilizzano qualora sia necessario mantenere il corretto equilibrio di densità tra le diverse popolazioni microbiche procariotiche presenti, perchè i processi digestivi possono risentire del prevalere di una specie sull’altra (esistono infatti pericolose malattie per gli animali d’allevamento causate proprio da casi di squilibri dell’ecosistema microbico in tal senso).
Inoltre, nel rumine vivono anche funghi anaerobi (si tratta di specie che alternano la forma cigliata a quella a tallo) che collaborano ai processi digestivi sia (nuovamente) della cellulosa sia, in particolare, per quanto riguarda la degradazione della lignina (il polimero strutturale che conferisce rigidità alle pareti cellulari delle piante legnose): i funghi infatti dispongono di un ottimo pool enzimatico in questo senso.
La composizione del microbiota del rumine è scarsamente variabile all’interno delle diverse categorie e specie di ruminanti; tuttavia esso può risentire della dieta ed in generale delle abitudini alimentari. Ad esempio, quando l’animale è nutrito per un certo tempo con fieno di leguminose, la popolazione totale di Lachnospira multiparous presente nel rumine tende sensibilmente ad aumentare per venire incontro alla necessità di poter digerire e rendere biodisponibili le pectine di cui tale fieno è ricco. Per questo motivo esistono numerosi studi sul rumine, specie in ambito zootecnico, volti ad esempio a testare gli effetti dell’alimentazione con varie miscele di farine vegetali sugli animali d’allevamento. (Fig.3)
L’economia alimentare umana dipende in larga parte da questi animali ed occasionali variazioni nella composizione della popolazione microbica del rumine possono indurre uno stato di malattia o persino la morte dell’animale: la possibilità di studiare ed analizzare il rumine a scopo diagnostico ha perciò un’indiscussa importante ricaduta non solo economica, ma anche in ambito biotecnologico e nella ricerca di base.
Grazie alle moderne tecnologie del DNA ricombinante, infatti, riscuote molto interesse la ricerca di nuovi geni da clonare in microrganismi facilmente coltivabili ed utilizzabili a livello industriale per risolvere alcuni problemi pratici.
Il nuovo settore dei biocarburanti, in particolare, investe molte risorse per trovare soluzioni circa il riutilizzo della biomassa vegetale, composta appunto in larga parte da cellulosa, lignina e pectine varie. Il microbiota dei ruminati, come si è visto, è naturalmente dotato proprio di quei geni che codificano per gli enzimi capaci di degradare questi materiali e trasformarli in prodotti più semplici (da cui possono poi essere ricavati, con ulteriori processi industriali, numerosi solventi e carburanti d’interesse): esso è quindi una fonte facilmente accessibile di biodiversità genetica a tale uso.
Inoltre, alcune specie microbiche del rumine grazie alla loro spiccata capacità biosintetica di proteine, sono considerate ceppi d’interesse per la produzione industriale su larga scala di amminoacidi.
A livello di ricerca di base invece, la ricchezza della biodiversità presente nel rumine suscita curiosità per quanto riguarda la scoperta in esso di alcuni plasmidi particolari ed unici, la cui finalità non è ancora nota con certezza, ma che pare abbiano un ruolo nel conferire la resistenza ad antibiotici specifici. Inoltre sono state isolate molte specie di batteriofagi quasi sconosciute da colture di batteri ruminali che risultano ancora da classificare.
Il microbiota dei ruminati è perciò un ecosistema microbico oggetto di molti studi ed interessi diversi e potrebbe riservare incredibili sorprese in futuro.
Simone Rinaldi
Bibliografia di riferimento
“Brock – Biologia dei microrganismi”, volume 2 (“Microbiologia ambientale, biomedica ed industriale”); Michael T. Madigan, John M. Martinko ed altri, casa editrice Ambrosiana
“Biochimica e biotecnologia del rumine”, Antonino Pio Mariani , edizioni Piccin
Sitografia delle immagini
Per l’immagine in evidenza:
http://www.agricolaboccea.it/allevamento-al-pascolo-benessere-animale-e-cibo-salutare/
Per l’immagine di Fibrobacter succinogenes al SEM:
https://salehsalmanblog.wordpress.com/2016/01/01/undergraduate/
Per l’immagine di Lachnospira multiparous al SEM:
https://microbewiki.kenyon.edu/index.php/Bovine_Rumen
Per le mucche fistolate:
https://virtualblognews.altervista.org/mucche-loblo-per-vedere-rumine-nel-stomaco-video/25819347/
Ulteriori approfondimenti sul tema dei biocarburanti:
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