Cianobatteri e Microcompartimenti Batterici: altri indizi sull’origine evolutiva dei virus

I Cianobatteri sono tra i più antichi organismi fotosintetici esistenti: si possono trovare come unità singole e indipendenti in grado di sintetizzare nutrienti dalle condizioni chimico-fisiche circostanti, ma esistono anche forme gregarie come Nostoc(immagine in evidenza) in grado di formare colonie dall’aspetto filamentoso. Essi sono batteri azoto-fissatori, infatti riescono a ridurre l’azoto molecolare in ammoniaca. Sono inoltre organismi biocostruttori, infatti la loro presenza in acqua può determinare un forte calo di CO2, ingrediente indispensabile per la fotosintesi: tale calo sposta localmente l’equilibrio chimico che determina in mare la formazione e deposizione di carbonato di calcio, promuovendo tale fenomeno si determina la formazione di piattaforme carbonatiche.

La proteina responsabile di questo fenomeno è largamente diffusa tra gli esseri viventi e probabilmente è quella più rappresentata in termini di quantità: la Ribulosio-bisfosfato Carbossilasi (Rubisco).

Ovviamente tutto è più complesso, basti pensare che la Rubisco batterica è composta da sole 2 catene contro le 16 delle piante (Fig.1), inoltre è una proteina terribilmente inefficiente: ha un turnover di 3 reazioni al secondo, contro le più tipiche 100 reazioni al secondo di altri enzimi. L’inefficienza di questa proteina può essere “tamponata” modificandone il numero di catene aggregate, come è successo per le piante nel corso dell’evoluzione, oppure modificando l’ambiente in cui avviene la reazione, un po’ come capita per le piattaforme carbonatiche. In effetti, proprio nei Cianobatteri è stata scoperta per la prima volta una particolare versione di questa tecnica: infatti per sopperire all’inefficienza della Rubisco i Cianobatteri hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione dei microcompartimenti proteici dedicati proprio a questa funzione, la fissazione della CO2.

Fig.1: Rubisco vegetale a sinistra e batterica a destra.

Nei batteri non sono presenti organelli complessi come negli eucarioti, anzi ormai è largamente condivisa la teoria endosimbiontica, secondo la quale sono i batteri stessi ad essere gradualmente diventati organelli, è evidente che c’è un problema di dimensioni. In molte specie batteriche, però, sono presenti microcompartimenti proteici; tali camere vengono sfruttate per diversi motivi, ma nel caso dei Cianobatteri vengono sfruttati proprio per concentrare localmente la CO2, in modo da aumentare l’efficienza della Rubisco.

I Carbossisomi sono formati da diverse proteine strutturali, le proteine BMC; la loro aggregazione determina la formazione dei microcompartimenti, alcune di loro sono responsabili della formazione di pori ed altre della forma del microcompartimento. Esistono due tipi di Carbossisomi, gli Alfa-Carbossisomi e i Beta-Carbossisomi(Fig.2); i Beta sono strutturalmente più organizzati grazie a delle proteine della matrice che fissano il contenuto del compartimento in modo da ottimizzare gli spazi, ma quale è il loro contenuto?

Fig.2: I due tipi di Carbossisomi a confronto, il tipo Alfa a sinistra e il tipo Beta a destra.

Per compiere la loro funzione, questi microcompartimenti devono contenere la Rubisco, in primis, e un mezzo per concentrare la CO2 all’interno: l’anidrasi carbonica. Il loro funzionamento (Fig.3) a questo punto è molto semplice: la CO2 entra sotto forma di acido carbonico attraverso i pori presenti sulla superficie dell’organello, viene subito convertito in CO2 dall’anidrasi e fissato nel fosfoglicerato dalla Rubisco.

Esistono altri tipi di microcompartimenti batterici. I metabolosomi, per esempio, sono implicati nell’ossidazione degli aldeidi, altri microcompartimenti invece servono a mantenere isolate specie radicaliche dannose ma essenziali per alcuni metabolismi, mentre di altri ancora non conosciamo per certo nemmeno la funzione, come nel caso dei Vaults.

Fig.3: Schematizzazione del funzionamento di un Carbossisoma.

Un’osservazione decisamente interessante è la somiglianza tra microcompartimenti e capsidi virali: formati da proteine autoassemblanti e modulari, hanno anche una forma simile, ma ad oggi non è possibile introdurre un determinante legame filogenetico in quanto non è stata trovata omologia tra le proteine del capside e le BMC… ma forse qualcosa sotto c’è! Infatti, è stata trovata negli Archea omologia tra l’Encapsulina (l’equivalente delle BMC) e le proteine del capside del Fago hk97. Ovviamente non si tratta di una prova, ma è sicuramente un indizio, senza contare la recente scoperta dei Virus Archeali, un’altro importante pezzo del puzzle!

Se vi interessa l’argomento: http://www.microbiologiaitalia.it/2017/08/24/dallantartide-una-nuova-teoria-sullevoluzione-dei-virus/

 

Alessandro Clochiatti

Fonti: http://pdb101.rcsb.org/motm/11 (Rubisco), https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3070793/#R57 (omologia BMC-capsidi)

 

 

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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