Panoramica della Scrapie
Come si è arrivati a parlare di prione? Correva l’anno 1775 quando la Camera dei Comuni del Regno Unito definisce la Scrapie, una malattia ad andamento epidemico che colpisce gli ovini, un serio pericolo per l’economia rurale. Le pecore e le capre che ne erano affette presentavano dei segni caratteristici, degenerativi ed irreversibili. Tra i primi ricordiamo l’impellente bisogno, da parte dell’animale, di grattarsi il vello fino a provocarsi lacerazioni sulla pelle (il nome della malattia ha origine dall’inglese “to scrape” che per l’appunto viene tradotto come “grattare”), cui seguono l’alopecia ed altri sintomi aspecifici come la faticabilità e la perdita di peso (l’animale sembra stanco e mal nutrito).
Con l’avanzare della malattia il quadro clinico d’esordio peggiora sfociando nel cosiddetto deterioramento mentale le cui manifestazioni cliniche nell’animale sono le modificazioni comportamentali, come l’insorgenza di un’aggressività immotivata, ed i segni neurologici quali atassia cerebellare e difficoltà nel mantenere l’equilibrio (l’animale cade frequentemente e presenta delle difficoltà a rialzarsi).
Nel 1936, Cuillè e Chellè trasmettono la Scrapie ad una pecora sana attraverso l’inoculo di un estratto di cervello di un’altra pecora affetta. La malattia compare dopo un periodo di incubazione di 14 mesi, dimostrando così in maniera inconfutabile la natura trasmissibile della stessa. I due autori identificano come agente eziologico un virus filtrabile.
E se non si trattasse di un virus?
Solo nel 1946, in seguito alla contaminazione con Scrapie di un vaccino ad uso veterinario che infetta migliaia di pecore in pochissimo tempo, si crea il primo centro per lo studio della malattia: per lo studio l’agente responsabile della malattia negli ovini viene adattato ai roditori per contenere i costi. Si osserva prima un’elevata resistenza dell’agente infettivo al calore, alla formalina, al fenolo ed al cloroformio e, successivamente, come l’agente eziologico della Scrapie resista, continuando a replicarsi, a dosi elevate di raggi UV.
Le radiazioni ultraviolette rappresentano un agente fisico in grado di danneggiare irreparabilmente gli acidi nucleici e l’informazione in essi contenuta, per cui si afferma che l’agente eziologico della Scrapie è in grado di replicarsi in assenza di un proprio genoma. Queste conclusioni, assieme alla scoperta che lo stesso agente si isola attraverso l’utilizzo di membrane filtranti i cui pori hanno un diametro di 2.4 nm, portano gli studiosi a suggerire che si tratti o di un virus non convenzionale (le dimensioni non sono confrontabili con quelle di altri virus conosciuti), forse un Lentivirus, o di un glicoproteina o polisaccaride anomalo con capacità replicative: correva l’anno 1967 ed il dogma centrale della biologia era stato appena messo in dubbio!
La pericolosità del misfolding
Nel 1982, Prusiner sconvolge la comunità scientifica ancora scettica constatando che questa proteina, il prione (dall’inglese “prion”, acronimo che sta per protinacious infetious particle), altro non sarebbe che la forma anomala di una proteina presente naturalmente in tutti i tessuti dei mammiferi, uomo incluso. Tale proteina, nell’uomo, è codificata da un singolo gene nel braccio corto del cromosoma 20 ed è particolarmente espressa nel tessuto nervoso. Prusiner studiò gli omogenati di cervello provenienti da ovini infetti e rilevò una quantità abnorme di una proteina di 27-30 kDa, che è assente nei tessuti di animali non infettati dalla Scrapie. Tale proteina viene chiamata Prion Protein 27-30, ovvero PrP27-30, resistente al trattamento con proteinasi K, che non agisce sugli aggregati. Studi successivi dimostrano difatti che la PrP27-30 altro non è che un prodotto proteolitico soggetto ad aggregazione, di una proteina di maggiori dimensioni (PM: 33-35 kDa), la PrPSc (da Scrapie), che tende ad accumularsi nel SNC.
La PrPSc è patologica e presenta caratteristiche diverse dalla PrPc non patologica: essa infatti viene degradata dalle proteasi e non si accumula. Sembrerebbe che la conversione di PrPc in PrPSc, come processo post-traduzionale, rappresenti il meccanismo fondamentale per la manifestazione della malattia, dal momento che non si evidenzia alcuna differenza nella composizione chimica delle due proteine (che presentano tra l’altro lo stesso peso molecolare), ed esiste una ben documentata differenza nella struttura secondaria delle due isoforme.
Nonostante ciò, quella virale rimase a lungo l’ipotesi eziologica più accreditata. Difatti era noto che l’agente della Scrapie, inoculato da materiale infetto in regioni periferiche, raggiungeva il SNC adottando meccanismi molto simili a quelli già conosciuti ed in utilizzo da altre forme virali note, ovvero diffondendosi nel sistema linfatico (a partire da milza e linfonodi).
Il Morbo della Mucca Pazza
Nel 1986, nel Regno Unito si manifesta un’infezione atipica dei bovini che risveglia un certo interesse clinico, nonché economico (la storia si ripete). L’infezione si estende molto rapidamente e si manifesta con caratteristiche cliniche già note: nervosismo, aggressività, disturbi dell’equilibrio, scoordinamento nei movimenti e forte prurito. La causa di tale infezione era da ricercarsi in una probabile contaminazione delle farine di origine animali somministrate ai bovini (ottenute a partire da scarti della macellazione di bovini stessi e/o di altri animali, come gli ovini) o ad alterazioni nel processo di produzione/trattamento delle stesse. Dato che le mandrie continuavano ad essere decimate, le farine animali vennero ritirate dal mercato e ne fu proibita poco dopo la produzione.
Tuttavia l’andamento dell’epidemia dall’87 al 2002 è crescente e non decrescente, cosa che allarma l’intera popolazione europea, in particolar modo il nostro Paese, in cui la malattia dei bovini è conosciuta come “Morbo della mucca pazza”. Tutto ciò è indice non solo di una rapida trasmissione della malattia ma anche di un tempo di incubazione prolungato dell’agente eziologico che ne è la causa. Questi dati, assieme alle manifestazioni neurologiche già osservate in pecore e capre, suggeriscono una certa similitudine con la Scrapie. La somiglianza clinica ed anatomopatologica (l’encefalo assume la tipica forma di una spugna) tra la Scrapie, l’infezione tipica dei bovini e di altre infezioni osservate nell’uomo ed in altri mammiferi ha fatto presupporre l’esistenza di un gruppo di malattie neurodegenerative (poi definite prioniche) ad esito sempre fatale (decorso acuto ed exitus in pochi mesi), denominate encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE):
Figura 1: Encefalopatie spongiformi trasmissibili che colpiscono l’uomo e alcune specie animali.
La malattia neurodegenerativa “tipo Alzheimer“
La paternità della scoperta delle malattie prioniche si attribuisce al neurologo tedesco Alfons Maria Jakob che, assieme al collega Hans Gerard Creutzfeldt, descrisse, negli anni ’20 del Novecento, una malattia neurodegenerativa rara, che conduceva a demenza progressiva fatale, la Creutzfeldt-Jakob Disease (CJD) appunto. Essa fu osservata in alcuni preparati di tessuto cerebrale per l’anatomia patologica sui quali applicò la colorazione argentica del Golgi e per i quali fu possibile osservare la formazione di microvacuolazioni nel tessuto (la spongiosi cerebrale è una caratteristica istologica distintiva della malattia, assieme alla degenerazione cortico-striato-spinale) cui si accompagna la presenza di placche amiloidi “tipo Alzheimer”.
L’incidenza della CJD è costante in tutto il mondo e colpisce persone tra i 45 ed i 75 anni, manifestandosi da prima con segni di malessere generale, episodi confusionali isolati e cambiamenti di personalità, cui seguono la demenza, la perdita di memoria, i disturbi del linguaggio, le mioclonie degli arti superiori ed i disturbi del sistema extrapirmidale (ipertono e discinesie), cerebellare (atassia) e piramidale.
La CJD esiste in 3 forme: la forma sporadica e la forma ereditaria autosomica dominante (la GSS e la FFI), dovute ad una mutazione spontanea del gene PrPc verso una forma patologica e la forma iatrogena dovuta all’ingerimento dell’agente eziologico infettante. È questo il caso della Kuru, diffusa nella tribù dei Fori, in Nuova Guinea. La malattia, chiamata in lingua locale “Kuru” ovvero tremore, ad oggi è quasi del tutto debellata ma negli anni ’50 del Novecento è stata la principale causa di morte delle donne e dei bambini aborigeni. La trasmissione avveniva attraverso un rito funebre cannibalistico celebrato alla morte del capoclan, cui partecipavano per l’appunto solo donne e bambini. Secondo la credenza popolare, ingerire il cervello del defunto subito dopo l’apertura della scatola cranica avrebbe portato buona sorte. S’ipotizza che, probabilmente, uno dei capiclan fosse affetto da CJD, mutata poi in loco in Kuru.
Parola d’ordine: infettività
Tra le TSE che colpiscono gli animali, la BSE è sicuramente la più preoccupante per l’uomo; difatti è in grado di infettare anche la nostra specie e di dare origine ad una nuova variante della malattia, ovvero la nvCJD, che presenta caratteristiche cliniche e neuropatologiche del tutto differenti dalla CJD. È quanto accade nel Regno Unito, anno 1996, come conseguenza dell’infezione bovina di 10 anni prima circa: si descrivono numerosi casi di CJD in soggetti giovani, meno di 30 anni, con sintomi psichiatrici come prima manifestazione della malattia cui seguono, molto tempo dopo, i disturbi del movimento come l’atassia. Il decorso della malattia si mostra stranamente prolungato ma l’esito rimane fatale. L’insorgenza di questa variante sarebbe iatrogena, ovvero da attribuirsi all’ingestione di carne di bovino infetta da BSE; ciò ne spiegherebbe l’esordio giovanile, come nella Kuru.
Per una diagnosi corretta di CJD, Kuru, FFI, GSS ed altre forme di encefalopatie spongiformi trasmissibili, che non si basi solo sulle osservazioni sintomatiche, è assolutamente da evitare una biopsia cerebrale dal momento che il rischio di trasmissione è elevato, così come la difficoltà di sterilizzazione e neutralizzazione dell’agente eziologico. È da preferirsi l’esame del liquor.
Carla Caianiello
Fonti:
- De Filip G. Recenti sviluppi di igiene e microbiologia degli alimenti. 20129 Milano. Tecniche Nuove (2001). 736
- www.maancheno.org/2008/09/27/si-parla-del-latte-cinese-ma-da-noi-riappare-la-mucca-pazza/