Dietro il mitocondrio, un fondamentale organulo cellulare, si celano enormi segreti che coinvolgono non solo discipline biomediche, ma persino antropologiche e sociali.
Nel non lontano 1920 Ivan Wallin ipotizzò che il mitocondrio, l’organulo alla base della respirazione cellulare, fosse in antichità un microrganismo esterno ed estraneo alle cellule eucariotiche. La teoria endosimbiontica fu successivamente postulata e promulgata da Lynn Margulis a partire dagli anni ’60, con il suo lavoro Symbiosis in Cell Evolution.
Oggi la comunità scientifica avvalora in pieno la tesi endosimbiontica di Margulis, ipotizzando che, circa 1,5 miliardi di anni addietro, microrganismi proteobacteria del genere Rickettsiales fossero stati fagocitati dagli antenati delle nostre attuali cellule eucariotiche, iniziando un processo di endosimbiosi cellulare perdurato fino ai giorni nostri.
Secondo il principio che “l’unione fa la forza”, tali procarioti divennero indispensabili nei processi cellulari interni, traendo a loro volta numerosi vantaggi dall’internalizzazione.
Studi approfonditi seguirono le teorie di Margulis, proponendo addirittura che gli eucarioti nascessero come “evoluzione naturale nella cooperazione”, e che perfino ciglia e flagelli eucarioti fossero in origine microrganismi spirochete, acquisite e inserite come un ingranaggio nel “macchinario eucariota”.
I mitocondri ancora oggi mantengono parte del loro antico retaggio procariota. Sono organelli semiautonomi che replicano per scissione binaria. Contengono DNA circolare a doppia elica, privo di unità istoniche e i loro ribosomi risultano sensibili all’azione di alcuni antibiotici (quali per esempio il cloramfenicolo).
L’analisi della sequenza del DNA e la teoria filogenetica suggeriscono che il nostro DNA contiene geni originari degli alfa-probacteria poi divenuti mitocondri.
L’endosimbiosi infatti, a differenza della simbiosi classica, vede l’endosimbionte spogliarsi definitivamente di parte del proprio patrimonio genetico, donandolo all’organismo ospite, che adopera il proprio macchinario trascrizionale per produrre proteine dedicate al simbionte permanente, regolandone processi vitali come replicazione, trascrizione, e trasmissione dei segnali.
Un microrganismo di questo tipo acquisisce un vantaggio consistente nella capacità di sopravvivere, cedendo la propria “entità biologica” al servizio di un organismo superiore che ne garantisce la piena sopravvivenza.
Lo studio e gli approfondimenti di questo meraviglioso “sposalizio biologico” hanno portato negli anni a numerose scoperte anche nell’ambito antropologico.
E’ risaputo che ciascuno di noi eredita il patrimonio mitocondriale esclusivamente da parte materna e che esso non vada incontro a fenomeni simili al crossing-over gametico. I mitocondri contenuti nello sperma dei mammiferi non entrano nella cellula uovo, in quanto le modalità di penetrazione dello spermatozoo e la costituzione anatomica dello stesso consentono l’ingresso della sola testa, pertanto i mitocondri, che hanno sede nel corpo cellulare, non prendono parte allo sviluppo dello zigote.
Sulla base di ciò, l’mtDNA (il DNA mitocondriale) rappresenta un accurato elemento per la discendenza matrilineare.
Una comparazione del mtDNA di individui appartenenti alla specie umana di diverse etnie e regioni suggerisce che tutte queste sequenze di DNA siano state ereditate da un antenato comune. Assodato che ciascun individuo erediti i mitocondri solo dal genitore di sesso femminile, questa scoperta implica che tutti gli esseri umani abbiano una linea di discendenza femminile derivante da una donna che i ricercatori hanno soprannominato Eva mitocondriale, intesa come il più recente antenato mitocondriale di una o più etnie, o addirittura dell’umanità intera.
Bryan Sykes nel suo lavoro “Le sette figlie di Eva”, sulla base dello studio del mtDNA, si propone, per la popolazione europea, la discendenza da sole sette donne vissute circa 25 mila anni fa in Africa.
Una precisazione importante va fatta: nonostante l’appellativo Biblico, Eva non era l’unica femmina umana del suo tempo, bensì l’unica che avrebbe prodotto una linea di figlie ininterrotta e tuttora esistente. Come risultato, solo i suoi mitocondri avrebbero discendenti nelle cellule degli esseri umani viventi.
Insomma, secondo Margulis, “la vita non conquistò la Terra attraverso l’aspra lotta, bensì mediante la cooperazione tra specie” e la nozione darwininana di evoluzione condotta unicamente dalla selezione naturale andrebbe riadattata.
In molti oggi vedono nell’endosimbiosi dei microrganismi una sorta di “schiavitù microbica”, un processo “sociale” simile a quello della società dei nostri giorni, ove le minoranze cedono la propria entità ad un più grosso “macchinario globale” ai fini della sopravvivenza.
Per i sostenitori dell’Endosimbiosi essa rappresenta comunque un fenomeno artefice dell’Evoluzione della vita.
Rosario Ottonelli